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12 marzo 2009

Dura lex, sed lex. Tareq Aziz e Muntazar Al Zaidi

By Baghdadhope

In due giorni la giustizia irachena ha emesso due verdetti a modo loro importanti.
La condanna a 15 anni di prigione per Tareq Aziz ieri, e quella a 3 anni per Muntazar Al Zaidi oggi.
Le accuse: aver avuto una parte attiva nell’uccisione nel 1992 di 42 commercianti accusati di aver lucrato sul prezzo dei prodotti in un’economia distrutta dalle sanzioni economiche nel caso di Tareq Aziz, aver lanciato due scarpe contro il presidente Bush durante una conferenza stampa lo scorso dicembre nel caso di Muntazar Al Zaidi.
Senza entrare nel merito dei processi e dei verdetti è interessante registrare due fatti.
Il primo è un’intervista rilasciata da Mons. Benjamin Sleiman, Arcivescovo latino di Baghdad, che nel 2003 ad
Asia News dopo avere sottolineato che “Tareq Aziz non era vice premier perché cristiano, ma perché era un grande amico di gioventù di Saddam. Con lui aveva compiuto anche alcune stragi nei loro primi anni di azione e aveva contribuito alla presa di potere del partito Baath” dichiarò che “... spesso come minoranza cristiana ottenevamo concessioni non da Aziz, ma da altri ministri musulmani. Ricordo ad esempio il caso di un libro di scuola che riportava dichiarazioni offensive nei confronti della religione cristiana: Aziz non fece nulla di fronte alle nostre proteste. Solo un ministro musulmano ordinò che quel libro venisse ritirato dalle scuole.”
Il secondo è che il gesto di Muntazar Al Zaidi non ha avuto solo conseguenze per il suo autore (che peraltro rischiava, come Tareq Aziz, 15 anni di prigione) ma anche per 100 operai turchi assunti a tamburo battente dalla
Baydan Shoe Company, per far fronte all’impennata di richieste delle scarpe modello 271, proprio quello lanciato da Al Zaidi e prontamente ribattezzato: “Bye Bye Bush.”
Lo scorso 2 marzo Tareq Aziz fu assolto in un altro processo e la decisione del Tribunale Speciale chiamato a giudicarlo fu accolta come segno di “indipendenza” e di “fiducia per il popolo”.
Ci vorrà tempo perchè il popolo iracheno possa tornare ad avere fiducia nelle istituzioni, un tempo che però deve passare anche per la bilancia della giustizia che queste due sentenze dimostrano debba ancora essere tarata per bene.