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6 marzo 2009

Cristiani in Iraq per la pace e la democrazia. Intervista all'arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, Louis Sako


di Francesco Ricupero

"La situazione in Iraq per i cristiani sta lentamente tornando alla normalità. Molte famiglie sono riuscite a tornare nelle loro città di origine senza difficoltà. Questo è un buon segnale perché gli iracheni hanno bisogno di stabilità e di pace. Occorre però lavorare fin da subito sulla riconciliazione con le varie comunità presenti nel Paese. Cristiani e musulmani hanno bisogno l'uno dell'altro, non possiamo permetterci ulteriori divisioni che potrebbero danneggiare seriamente l'Iraq. La Chiesa può essere strumento per il dialogo e per la pace e ponte con l'Occidente".
Lo ha detto a "L'Osservatore Romano" l'arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, monsignor Louis Sako, in merito al ritorno di alcune famiglie cristiane in Iraq. Arcivescovo Sako, cosa è cambiato in Iraq negli ultimi mesi per la comunità cristiana?
"Possiamo sicuramente parlare di un lento miglioramento. Molti cristiani stanno tornando dalla Siria, dal Libano, dalla Giordania, dal Nord del Paese per recuperare le loro case, i loro beni e il loro lavoro. La Chiesa è grata a tutti i Governi che hanno dato ospitalità alla nostra comunità. Proprio la settimana scorsa altre cinque famiglie cristiane sono tornate a Kirkuk. Adesso sono sicuro che potranno condurre una vita dignitosa anche perché i salari sono più alti. Un professore, per esempio, riesce a guadagnare al mese più di quattrocento dollari statunitensi e si può permettere di mantenere la famiglia. Al tempo del precedente regime questi stipendi erano impensabili, a malapena riuscivano a guadagnare tre dollari al mese."
Pensa che questo clima di fiducia possa contribuire al raggiungimento della democrazia nel Paese?
"La democrazia per l'Iraq è indispensabile, ma non l'abbiamo mai avuta. Gli iracheni non sanno cosa significa vivere in un paese democratico. Abbiamo vissuto per tanti anni in un regime dittatoriale. Pian pianino dobbiamo uscire da quella "forma mentis" e abituarci ad un nuovo modo di vivere, ma non sappiamo cosa fare e come comportarci. Occorre formare i politici e le persone alla democrazia per questo chiediamo aiuto alla Santa Sede e alla comunità internazionale."
Cosa succederà quando le truppe Usa lasceranno l'Iraq? C'è il timore di un intensificarsi di attentati terroristici?
"Questa è la nostra grande preoccupazione. Se da un lato è giusto che i militari abbandonino gradualmente l'Iraq, dall'altro c'è il pericolo che il Paese difficilmente riesca a stare in piedi senza l'aiuto internazionale. Non si può lasciare l'Iraq indifeso. Occorre creare una forza militare che sia in grado di garantire la sicurezza interna e anche fuori dai confini. Questo è possibile anche con il contributo della politica. È indispensabile la riconciliazione tra i gruppi politici iracheni, poiché questo è un Paese fragile, non c'è niente di solido, occorre rafforzare tutto."
Come ha risposto il Paese alle ultime elezioni per i consigli provinciali?
"C'è stata una presenza massiccia alle urne, questo dimostra che gli iracheni sono già aperti alla democrazia. I risultati delle ultime elezioni hanno dimostrato che il popolo ha bisogno di uno stato laico, non teocratico. Purtroppo, ai cristiani sono stati assegnati soltanto tre seggi a Bassora, Baghdad e Kirkuk, ma è troppo poco, ci vorrebbero almeno otto-dieci seggi. Dobbiamo lavorare su questo, dobbiamo riuscire a ottenere più rappresentatività alle prossime elezioni. Adesso, sia la Chiesa che i partiti politici devono impegnarsi per garantire i diritti dei cristiani."
Quale contributo può dare la Chiesa per facilitare il rientro dei cristiani e impedire la loro fuga dall'Iraq?
"Dobbiamo lavorare molto sulla pastorale, aggiornare il nostro messaggio, migliorare le relazioni con i musulmani. Le Chiese orientali sono piccole e deboli, ma insieme possono fare un miracolo perché i musulmani hanno bisogno dei cristiani."
Che la situazione interna stia migliorando lo dimostra l'apertura nei giorni scorsi della chiesa Assira dell'Est, pensa che altri luoghi di culto possano tornare a funzionare?
"È vero questo è un segnale confortante. Proprio alcuni giorni fa è stata riaperta dopo due anni la chiesa dedicata al beato Mar Zaiya nel pericoloso quartiere di Dora/Al Mekanic. Alla cerimonia di apertura della chiesa erano presenti numerosi fedeli e tanti sacerdoti. Anche noi Caldei abbiamo al momento tre Chiese che sono state chiuse qualche anno fa. Purtroppo, al momento, non ci sono sacerdoti disponibili per le funzioni liturgiche, ma sono sicuro che quando la situazione tornerà alla normalità, le tre Chiese saranno riaperte ai fedeli."
Lei aveva auspicato un Sinodo per la Chiesa orientale. Ne ha parlato anche con il Papa in occasione della visita ad limina in Vaticano?
"Sì, ho chiesto al Santo Padre un Sinodo che possa aiutarci a trovare la strada giusta per uscire dalla crisi. Il Papa si è detto disponibile e ci ha rassicurato che la Santa Sede sarà al nostro fianco. La comunità cristiana in Iraq ha bisogno di un segnale forte, ha bisogno di tanta serenità e speranza. Dobbiamo lavorare tutti insieme per impedire che gli iracheni lascino il Paese. Se la gente va via se ne va anche la storia."