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27 marzo 2009

Coppia missionaria invita i cattolici a visitare l'Iraq. Le diocesi hanno bisogno di sostegno per preservare le comunità cristiana

Fonte: ZENIT

by Genevieve Pollock

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

ARBIL, Iraq, MARCH 26, 2009

Una coppia trapiantata nel nord dell'Iraq cerca sostegno per la Chiesa di questa regione che ha bisogno della comunità mondiale in questo periodo di nuova speranza e di ricostruzione. Hank e Diane McCormick parlano a nome di molti vescovi e sacerdoti in Iraq che si offrono di organizzare ed ospitare i pellegrini che vogliono venire ad aiutarli a rinnovare e rafforzare la comunità cattolica nella regione.
In questa intervista a ZENIT la coppia racconta la propria storia e lancia un appello alla comunità cattolica mondiale per aiutare la sempre minore popolazione cristiana a preservare le proprie tradizioni e la propria presenza in Iraq.
Come siete finiti nel nord Iraq?
Hank: Come missionario per le comunicazioni e le relazioni della Chiesa per SAT-7, una televisione satellitare dedicata ai cristiani in Medio Oriente, il mio primo contatto con i cattolici iracheni aveva lo scopo di promuovere maggiori opportunità perchè essi potessero far sentire la propria voce all'interno dei programmi televisivi cristiani in Medio Oriente. Eravamo a conoscenza della difficile situazione che in Iraq i cattolici stavano affrontando ed eravamo ansiosi di incontrarli.
D: Qual è la situazione della Chiesa nel nord Iraq? Quali particolari esigenze avete individuato tra le comunità cattoliche nell'Iraq settentrionale?
Hank: Migliaia di cattolici sono arrivati nel nord Iraq nel corso degli ultimi tre anni. Solo da Mosul, in un periodo di due mesi, più di 10.000 famiglie sono state sfollate e reinsediate nella diocesi di Alquoch. I cattolici sono stati costretti all'immigrazione forzata per due volte nella loro vita. All'inizio del regime di Saddam sono stati trasferiti con la forza dai loro villaggi curdi e ridislocati a Baghdad e Mosul che divennero nel corso dei 30 anni del regime la loro casa. Con il crollo del regime e la violenza civile che è seguita le famiglie cattoliche sono diventate vittime della persecuzione religiosa e dell'estorsione. I cattolici sono stati uccisi, rapiti, e minacciati.
Di fronte a queste realtà la loro unica scelta è stata quella di partire per andare all'estero come rifugiati o nel nord Iraq. Ancora una volta i cattolici sono stati sradicati. Nel nord dell'Iraq sono al sicuro ma sono ormai una comunità di rifugiati all'interno del loro paese. La situazione economica è difficile. I sacerdoti li hanno tutti sistemati nelle case e nessuno vive per strada. Tuttavia non ci sono posti di lavoro per queste migliaia di persone. Molti contano sull'aiuto dei familiari all'estero. Come profughi essi ricevono un piccolo stipendio mensile dal governo regionale ma non è sufficiente per vivere. La comunità cattolica ha bisogno di posti di lavoro, opportunità di istruzione ed assistenza sanitaria. I cattolici possiedono le competenze e l'esperienza per lavorare in scuole ed ospedali nelle loro nuove comunità se viene data loro la possibilità.
D: I vescovi ed i sacerdoti dell'Iraq il mese scorso hanno lanciato un appello per chiedere il sostegno dei cattolici americani. Come è nato quell'appello?
Hank: I firmatari hanno scritto questa appello urgente come invito personale ai vescovi e sacerdoti della Chiesa negli Stati Uniti per venire ad incontrarli e per discutere le strategie di sviluppo volte a favorire l'integrazione dell'attuale popolazione cattolica come membro a tutti gli effetti della loro nuova comunità. Sebbene sia possibile dare informazioni attraverso i rapporti le petizioni e le statistiche le visite dirette alla regione sono essenziali.
Negli ultimi due anni delegazioni dell'Europa occidentale hanno visitato il nord Iraq ed altre sono attese. Ora è giunto il momento di venire anche per i vescovi ed i sacerdoti provenienti dagli Stati Uniti. La popolazione cattolica in Iraq è a rischio di scomparire a causa di questi elevati tassi di emigrazione. Al fine di preservare la presenza cattolica che risale al tempo degli Apostoli c'è bisogno che la Chiesa universale aiuti adesso i cattolici locali ad impegnarsi nelle loro nuove comunità.
Si tratta di un compito impegnativo. I cattolici hanno dovuto abbandonare le loro comunità e stabilirsi in zone che sono mal organizzate ad accoglierli. Molti, ad esempio, hanno fatto ritorno ai villaggi dei loro padri - villaggi sono stati costretti ad evacuare quaranta anni fa. Questa popolazione essenzialmente urbana è stata reinsediata in una comunità agricola che offre poche opportunità di lavoro. Inoltre nel nord, che ha accolto con favore i cristiani, ci sono barriere linguistiche. Il curdo è la lingua ufficiale della regione ed i cattolici parlano Surith (aramaico) ed arabo.
La Chiesa non era preparata al caos verificatosi dopo la caduta del regime di Saddam, alle ostilità ed alle persecuzioni che hanno colpito i cattolici. L'enorme numero di cattolici sfollati in quegli anni l'ha costretta a battersi per gli aiuti. I sacerdoti ed i vescovi hanno lavorato a fianco delle suore, dei diaconi, dei seminaristi e dei fedeli per far sì che tutti avessero un riparo ed il cibo. Ora stanno sviluppando dei piani strategici per aiutare i cattolici ad impegnarsi nelle loro nuove comunità. Un'ulteriore preoccupazione che la Chiesa sta affrontando è la presenza dei cristiani evangelici che stanno convertendo i caldei, i siriaci e gli ortodossi. Spesso i metodi attraverso cui si verificano tali conversioni sono inappropriati. Questa è una parte dell'appello. Invitare i vescovi ed i sacerdoti a venire nell'Iraq settentrionale come ospiti della chiesa caldea per vedere cosa sta succedendo "sul campo" e contribuire a sviluppare un piano per aiutare la comunità a vivere e prosperare in Iraq è un appello fatto col cuore.
D: Qual è stata la vostra esperienza personale in Iraq? Come fate fronte alla paura, se ne avete?
Diane: La mia esperienza in Iraq è stata una benedizione. Sarò sempre grata agli iracheni per averci accolti nella loro vita. Sono persone di fede con un forte senso della famiglia e della comunità. Li ammiro molto. Ci siamo spostati liberamente in tutta la regione senza alcuna difficoltà. Abbiamo soggioornato in alberghi musulmani, mangiato, fatto compere, preso il taxi per tutta la durata del nostro soggiorno e siamo sempre stati trattati con rispetto e gentilezza. La difficoltà maggiore per noi è stata il nostro cellulare che non funzionava in nord Iraq. Ma grazie alla tipica ospitalità irachena abbiamo potuto risolverla. Dopo giorni in cui abbiamo cercato di risolvere il problema da soli siamo andati al centro di Arbil in uno dei numerosi negozi di telefonia mobile.
Il negozio era così affollato che a malapena siamo riusciti ad entrare. Qualcuno dietro il banco ci ha visto è scomparso nel retro del negozio ed è riapparso con un giovane uomo che ha annunciato di essere uno specializzando in inglese all'università.
Il suo inglese era davvero perfetto. Dopo aver esaminato il nostro telefono che ci ha chiesto di seguirlo. Uscito dal negozio ci ha guidato lungo la strada, dietro un angolo, e giù per delle scale fino ad uno scantinato. Lì c'era un suo amico di 20 anni che ha lavorato per più di mezz'ora per eliminare ed aggiungere i vari programmi necessari per risolvere il nostro problema. Non solo abbiamo fatto una deliziosa chiacchierata con questi due intraprendenti giovani uomini d'affari musulmani, ma abbiamo anche risolto il nostro problema - ed hanno insistito a non farci pagare perché eravamo stranieri nel loro paese - era semplice ospitalità ed i due giovani ci hanno detto che sapevano che gli americani l'avrebbero ricambiata se loro fossero andati negli Stati Uniti. La mancanza di paura nell'andare in Iraq era basata sul principio guida insegnatoci da papa Giovanni Paolo II: "Non abbiate paura. Dio è con voi". Queste parole sono state la fonte della nostra forza per anni. Sebbene siano state quelle che ci hanno guidato in Iraq al nostro arrivo era chiaro che la vita procedeva normalmente e non c'era davvero ragione di avere paura.
Hank: Visitare il paese è stata una meravigliosa esperienza per noi. E' stato emozionante vivere con un popolo la cui lingua madre, l'aramaico, è la lingua che parlava Nostro Signore. Abbiamo viaggiato in tutta la regione senza paura. Abbiamo incontrato alcuni dei caldei cattolici che sono stati vittime della violenza post-Saddam. Sono allegri, pieni di speranza. E' stato triste rendersi conto che le famiglie di tanti di questi cattolici sono divise, con alcuni membri in Occidente ed altri in Turchia o in Giordania.
Il lavoro che i sacerdoti ed i religiosi stanno facendo sono una grande testimonianza dell'amore di Cristo. Abbiamo incontrato un sacerdote di Baghdad che è stato rapito, colpito ad una gamba in un secondo episodio, ed in un terzo episodio era nella sua chiesa dove è scoppiata una bomba. Era nel nord per una visita ma stava per tornare alla sua parrocchia di Baghdad. Abbiamo visitato i santuari del sacerdote martire Padre Ragheed Ganni e di Mons. Paulos Faraj Rahho di Mosul. Questi uomini sono morti per Cristo e per la sua Chiesa. Mons. Louis Sako, di Kirkuk, uno dei firmatari dell'appello ha promosso l'unità cristiano-islamica nelle strade, nelle chiese e nelle moschee. Padre Bashar Warda, rettore del Seminario di San Pietro, ha supervisionato la costruzione - e la ricostruzione - delle scuole cattoliche di Baghdad, scuole che sono piene di studenti di tutte le fedi.
Queste scuole ricevono attualmente abbastanza rette per coprire i costi totali di funzionamento della parrocchie cui sono collegate. Le Suore della Immacolata e le domenicane gestiscono orfanotrofi, scuole e cliniche. Ho potuto vedere il volto di Cristo in questi uomini e donne e nel lavoro che fanno.
D: State pensando di vivere in Iraq per i prossimi anni per aiutare la Chiesa. Perché?
Hank: La popolazione attuale è sopravvissuta a decenni di terrore e violenza sotto Saddam, ad una guerra contro l'Iran, a due guerre del Golfo, ad un embargo internazionale ed al caos che ha fatto seguito alla caduta del regime di Saddam. Oggi, tra 28 milioni di musulmani iracheni non vivono più di 700.000 di cristiani iracheni - il 70% dei quali è cattolico. Hanno cominciato a ricostruire le loro comunità. Hanno ricominciato a rimettere insieme i pezzi della loro vita in una nuova era di speranza. Saremo onorati e benedetti se potremo contribuire in ogni modo possibile ad aiutare i cattolici in Iraq a conservare le loro tradizioni e la loro presenza nella loro terra d'origine. L'Iraq è un posto meraviglioso.
Ci sono magnifici siti religiosi ed archeologici da visitare, e c'è molto da fare. Gli iracheni sono amichevoli ed accoglienti. Vorremmo contribuire a promuovere le opportunità economiche, a creare ponti tra le Chiese orientali e la Chiesa in Occidente, e partecipare al dialogo cristiano-islamico.
D: Come può la comunità cattolica internazionale aiutare la Chiesa nel nord Iraq? Cosa può motivarla a farlo?
Diane: I vescovi ed i sacerdoti della Chiesa cattolica negli Stati Uniti e in altri paesi possono venire nel nord Iraq a vedere la situazione di persona e quindi condividere tale conoscenza. Delegazioni provenienti da Inghilterra e Francia lo hanno già visitato, e la Germania ha preso già accordi a proposito. Gli imprenditori cattolici, gli investitori e gli esperti economici possono visitare l'area e dare consigli sullo sviluppo e sulle opportunità economiche. Le parrocchie di tutto il mondo possono partecipare al programma Adotta una Parrocchia. Questo programma collegherà parrocchie cattoliche all'interno dell'Iraq con parrocchie cattoliche nel resto del mondo. Noi crediamo che una maggiore sensibilizzazione promossa dai media cattolici sulle opportunità per aiutare i nostri fratelli e sorelle motiverà la comunità cattolica internazionale. Siamo chiamati dal battesimo a diffondere il Vangelo ed a proteggere gli innocenti e le persone vulnerabili. Per anni l'Occidente è stato profondamente impegnato nella politica irachena e questo ha avuto un profondo impatto su tutto il paese. Ora, mentre l'Iraq ricostruisce, è il momento di incoraggiare i cattolici a partecipare direttamente alla vita dei loro fratelli e sorelle in Iraq.