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28 dicembre 2008

«Il mondo ci aiuti a fermare l’esodo dei caldei» esuli a Beirut

Fonte: Avvenire

di Luca Geronico
Un accordo internazionale, una mobilitazione dei Paesi arabi, dell’Ue e dell’Onu: riunioni, appelli, consultazioni informali... All’episcopato caldeo di Beirut, mentre continua l’afflusso di profughi in cerca di aiuti umani-tari, si lavora a una strategia politica «Questo mese 32 famiglie dall’Iraq , il mese scorso lo stesso: noi ne abbiamo registrate mille e 200 ma molte preferiscono restare completamente nell’ombra. Almeno 5000 caldei, altrettanti musulmani. Ma in Siria e Giordania ce ne sono molti di più e sulla loro sorte e situazione sappiamo molto poco». Almeno 300mila caldei in fuga si stima. Snocciola le cifre di quella che in altre regioni del mondo è stata chiamata “pulizia etnica” e da due anni è il suo assillo quotidiano: dovere di solidarietà, ma anche una sfida: «La mia missione? Salvare questo popolo», afferma battendo il pugno sul bracciolo della poltrona nel suo studio Michel Kassarji, il vescovo caldeo di Beirut. Tocca alla piccola comunità caldea libanese accogliere e rianimare chi scappa dall’Iraq: quest’anno aiuti pari a 700mila dollari e un preziosissimo lavoro di segretariato sociali; mezzo milione di dollari l’anno precedente. Ma soccorrere, medicare, non è una soluzione che possa soddisfare: «Cosa direste voi in Italia se si spopolasse il Vaticano? La Chiesa irachena è una delle più vecchie al mondo, nella liturgia si parla l’antico aramaico».
Una vera svolta in negativa, racconta Michel Kasdano – generale in congedo che ora dirige il centro informazioni della Chiesa caldea – è stato l’omicidio lo scorso marzo del vescovo di Mosul Paulos Faraj Rahho: «Da allora chi arriva oltre al dolore della propria famiglia aggiunge: 'Hanno ucciso il nostro vescovo'». E si scappa sempre di più: per le minacce degli integralisti islamici, per le accuse di aver lavorato per gli americani, per le bande di delinquenti che taglieggiano la popolazione. «Ma anche per il virus dell’immigrazione: il miraggio di un futuro in Occidente che in realtà è sempre più misero delle attese senza capire che inevitabilmente così si perde la propria identità», aggiunge monsignor Kassarji. È la consapevolezza che la questione caldea cela altro: «In Terra santa i cristiani sono solo lo 0,5 per cento. Pure in Libano , l’ultimo Paese con una presenza significativa dei cristiani, si continua ad emigrare», continua Kassarji. Creare le condizioni per restare, preparare un piano che consenta ai caldei di avere in Libano – che non riconosce lo status di rifugiato politico – una seconda patria per ritornare nel lungo periodo in Iraq. Così i caldei del Libano hanno coinvolto la Chiesa maronita e stanno preparando un convegno internazionale per la metà di febbraio con tutte le componenti religiose e politiche del Medio Oriente: un piano per salvare i caldei e rendere possibile una presenza dei cristiani in Medio Oriente: «È una questione simbolica, se vogliamo come quella palestinese nei decenni scorsi per cui chiediamo una risposta della comunità internazionale», afferma il generale Kasdano. Creare in Libano , Siria e Giordania le condizioni per una permanenza e negoziare in Iraq, prima che gli americani si ritirino, uno statuto particolare: «Non una autonomia politica e amministrativa come si voleva nella Piana di Ninive, ma individuare una regione storica protetta da una forza internazionale dell’Onu». Una speranza che diventa una supplica ai cristiani del Medio Oriente: «Ritornate, ritornate nella vostra terra».