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11 settembre 2008

Profughi iracheni lasciano il Libano sperando in una vita migliore negli Stati Uniti


Di Doreen Abi Raad
Tradotto da Baghdadhope

Laith Kasshana
ha lasciato Baghdadnei primi mesi del 2007, quando la sua bambina che ora ha due anni, Media, era ancora in fasce. A Baghdad, la vita di Kasshana era minacciata e suo fratello era stato ucciso. "Avevo paura", ha detto al Catholic News Service, "ancora oggi parlare dell’Iraq mi mette ansia." Ma Kasshana, sua moglie ed i suoi due figli – Mathew di dieci mesi è nato in Libano – sono partiti il 7 di settembre per San Diego. "Voglio solo iniziare da zero di nuovo per dare ai miei figli un futuro migliore", ha detto il trentaquattrenne Kasshana, un cattolico caldeo. "Al tempo di Saddam Hussein ci sentivamo al sicuro, la gente aveva paura di Saddam e per questo c’era rispetto per tutte le religioni. Lo slogan della legge irachena era 'la religione è per Dio, il paese è per tutti."
Malgrado i problemi familiari la moglie di Kasshana, Ban, di 25 anni, non ha mai perso la fiducia che Dio che avrebbe fatto qualcosa per la sua famiglia. "E’ la mia unica salvezza", ha detto, "l'unica da cui posso dipendere. Dio è la mia via d'uscita. Egli illuminerà il mio cammino."
A Baghdad Kasshana era proprietario di un negozio di telefoni cellulari ed apparecchiature elettroniche. In Libano ha lavorato 14 ore al giorno in una società di pulizie guadagnando 380$ al mese - un buon stipendio, considerando che la maggior parte dei profughi ne guadagnano 200 se riescono a trovare lavoro. Ma Kasshana ha dovuto lasciare il posto quando è stato assegnato ad una sede lontana da casa. Senza residenza legale temeva di essere arrestato se trovato durante gli spostamenti. Arrivato a San Diego ha dichiarato: "Voglio ... imparare la lingua e lavorare. Sono disposto a fare qualsiasi tipo di lavoro."

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Per una famiglia di tre persone il loro appartamento a Beirut era spazioso e ben tenuto rispetto alle condizioni di vita della maggior parte degli altri profughi iracheni. In precedenza vi abitava una famiglia di 11 persone, tra cui otto adulti – poi trasferita negli Stati Uniti
Un vicino di nome Thaker sta ora pensando di trasferirsi nell’appartamento con la moglie, il figlio neonato e diversi membri della sua famiglia. Thaker e suo fratello, vittime della persecuzione religiosa, sono fuggiti ad aprile da Mosul dove lavoravano come cuochi in una accademia di polizia in cui le reclute venivano addestrate dagli americani. Un giorno, tornando a casa, la loro auto fu fermata e loro furono tirati fuori da essa e picchiati con i fucili.
"Ci hanno detto, 'Voi lavorate per gli americani, siete come cani. Siete dei traditori" ha raccontato Thaker. Come capo cuoco dell’accademia di polizia, Thaker una volta era stato nominato “dipendente del mese” e designato a diventare il gestore dei 65 dipendenti della accademia. Guadagnava 50$ al giorno per il suo lavoro che comprendeva anche la verniciatura di veicoli per gli americani. Ora guadagna 200$ al mese come magazziniere in un supermercato lavorando 16 ore al giorno per sei giorni alla settimana.
Anche il fratello di Thaker lavorava come cuoco per l'accademia e come interprete per gli americani. Dopo le minacce i fratelli hanno cercato di continuare a lavorare in segreto, ma ricevettero una minaccia scritta che Thaker ha conservato e mostrato all'ambasciata statunitense in Libano.
Gli aggressori sapevano anche che il fratello di Thaker voleva diventare sacerdote, anche se aveva lasciato il seminario anni prima per contribuire a mantenere i fratelli dopo la morte del padre. "Quando ci hanno minacciato i terroristi gli dissero: “Tu studiavi per diventare sacerdote. Se andrai di nuovo in chiesa e se non abbandonerai la tua fede ti uccideremo” ha detto Thaker.
Thaker porta un rosario di legno intorno al collo, l'immagine della Divina Misericordia abbellisce il suo orologio da polso. "Voglio avere una vita stabile per dare un futuro a mio figlio" ha detto. Nadia Ghannem e i suoi tre figli lasceranno il Libano per San Diego il 10 settembre. Ghannem ha dichiarato di avere sentimenti contrastanti sul suo futuro. "Non sarò felice perché mio fratello è in carcere e mia sorella è ancora qui" ha detto al CNS. La disgregazione delle famiglie è uno degli svantaggi del reinsediamento dei profughi. A volte i giovani adulti vengono trasferiti da soli e devono lasciare i genitori e i fratelli. Un trauma per gli iracheni per i quali la famiglia allargata è una parte importante della cultura, dicono gli operatori sociali. Il marito di Ghannem, Rabih, è stato ferito a Mosul perché attivo nella sua parrocchia caldea. La coppia e le loro tre figli sono fuggiti in Libano lo scorso ottobre in cerca di sicurezza e di migliori cure mediche per Rabih che però sarebbe morto un mese dopo l’arrivo. Ghannem e la sua famiglia vivono in un’area di Beirut abitata da circa 2000 profughi iracheni – la maggior cristiani. Baraccopoli e squallore sono le parole migliori per descrivere le loro condizioni. Della muffa, residuo dell’umidità invernale, ancora pende dal soffitto del suo appartamento. Una grosso scarafaggio corre sulla parete. La nipotina di due anni di Ghannem si diverte con un rocchetto di filo dopo aver giocato con una bambola, l'unico altro giocattolo visibile. Ghannem divide l'appartamento con altri otto membri della famiglia e talvolta anche una zia. Materassi di schiuma sono sparsi in una piccola camera da letto che confina con il salotto. Il bagno è di circa 1 metro e venti per 1 metro e mezzo e non ha il lavello maun rubinetto alto che funge da doccia. Non c' è acqua calda.
Ammar Ghannem, 10 anni, siede davanti alla televisione, la scatola ipnotica che è una costante presenza nelle case dei rifugiati. Quando gli abbiamo chiesto del suo prossimo trasferimento negli Stati Uniti ha risposto: "Sono contento perché potrò giocare con il computer." La sorella di 8 anni di Ammar, Myrna, ha detto di voler fare nuove amicizie negli Stati Uniti.