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6 maggio 2008

Mestre. Warduni "Sono qui per ricordare"

Fonte: Gazzettino

By Giulia Quaggio

«Sono qui per ricordare agli italiani quello che sta succedendo in Iraq, perché prima che cristiano sono un membro del popolo iracheno».
Così monsignor Shlemon Warduni, arcivescono ausiliare di Baghdad, in visita a Venezia, accompagnato da Pax Christi, apre la lunga e difficile cronaca sulle condizioni dei cristiani in Iraq, dopo il rapimento e morte del vescovo caldeo di Mosul Faraj Rahho.Vuole ricordare all'Occidente il conflitto, perché prima delle lotte intestine, degli scontri etnici e di religione, prima ancora della politica, per monsignor Warduni ci deve essere la riconciliazione per un popolo che da tempo immemore non conosce più la pace.Solo in aprile sono state un migliaio le vittime del conflitto che dal 2003 divampa in Iraq, sono quattro milioni e mezzo i profughi della guerra. I cristiani, che alla fine degli anni Novanta erano un milione, ora sono circa 650 mila.
«L'emigrazione non è solo dei cristiani - prosegue Warduni - ma soprattutto dei musulmani che numericamente sono di più. L'Occidente non dovrebbe mai dimenticare, come a volte accade, che ad essere in guerra non è solo la politica ma soprattutto un popolo spesso inerme e stremato. Non sono d'accordo con chi intende ghettizzare i cristiani in aree protette. Quando viene ammazzato un cristiano si sa, quando viene ucciso un mussulmano è assai più difficile che la notizia circoli. Io non chiudo mai la mia Chiesa a nessuno».
Per mons. Warduni la situazione in Iraq peggiora di giorno in giorno. Un piccolo inferno fatto di autobombe e check point volanti. Troppo spesso dimenticato dai mezzi di comunicazione. «Dov'è la democrazia di cui si parla? - chiosa Warduni - I rapimenti ai danni di sacerdoti si moltiplicano. Non abbiamo elettricità, se non un'ora o due al giorno. Ci sono i generatori ma manca il gasolio, in una terra che potrebbe far vivere tutto il Medio Oriente. Il telefono fisso non esiste. L'insicurezza in cui si vive è inimmaginabile. Dio non vuole la guerra».
Solo nel Nord del Iraq, dove ora, nonostante l'incremento dei prezzi e lo sfruttamento monetario delle abitazioni, si sta trasferendo buona parte della comunità cristiana. A detta di Warduni anche l'informazione occidentale su quello che accade in Iraq spesso è lacunosa. «Non ci sono molti giornalisti - spiega Warduni - alcune zone della città sono off-limits ed alcune questioni per timore della propria incolumità non vengono affrontate».
Warduni punta il dito anche contro la divisione che esiste tra i cristiani iracheni (che sono il 3 per cento della popolazione). Il 70 per cento è formato da caldei (percentuali più ridotte di assiro-nestoriani, siro-cattolici ed ortodossi). Tuttavia per Warduni, laddove la divisione è connaturata nel cristianesimo, è l'atteggiamento delle sette protestanti, che impongono battesimi forzati, da condannare.
La morte del vescovo Faraj Rahho, lasciato perire senza medicinali dai rapitori, anche se permangono ancora dei dubbi sulle reali cause del decesso, si accompagna al tragico destino di altri sacerdoti sgozzati. Lo stesso Warduni, nel corso di uno spostamento di pochi metri a Baghdad, ha rischiato di morire sotto le raffiche di un mitra proveniente da un gippone dai vetri oscurati: a soccorrerlo dei musulmani iracheni.
Ieri sera, proprio per richiamare il fondamentale ruolo della comunità internazionale nella pacificazione dell'Iraq, Warduni, assieme a monsignor Beniamino Pizziol, vescovo ausiliare di Venezia, nella Basilica di San Marco, ha celebrato una messa in memoria delle vittime irachene della guerra.