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4 febbraio 2008

Iracheni cristiani rifugiati in LIbano: perché li abbiamo dimenticati?

Intervista a Monsignor Michel Kassarji, Vescovo Caldeo dell’Eparchia di Beirut

By Baghdadhope

Non è facile in questo periodo storico essere un vescovo cattolico caldeo. Neanche se non si vive in Iraq, l’epicentro di violenze che hanno decimato la già piccola comunità cristiana ora in fuga ai quattro angoli della terra. Non lo è, infatti, neanche per Monsignor Michel Kassarji, dal 2001 vescovo della diocesi caldea di Beirut, in Libano.
A Roma per qualche giorno, Monsignor Kassarji ha accettato di farsi intervistare da Baghdadhope per rinnovare i suoi appelli di aiuto. Lo raggiungiamo subito dopo un suo incontro con il Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazioni per le Chiese Orientali presso cui Monsignor Kassarji ha nuovamente perorato la causa cui ha dedicato la vita: la sorte delle migliaia di iracheni cristiani che in Libano hanno sperato di sfuggire alle minacce, ai rapimenti, alle uccisioni mirate, alle bombe che colpiscono le chiese e che, se non fanno vittime, raggiungono con il terrore ugualmente il proprio scopo: cancellare dall’Iraq la presenza cristiana.
Una causa che, ci tiene a sottolineare il vescovo, “non è carità, ma dovere. Noi non aiutiamo questa gente per carità, questa gente siamo noi, è il nostro popolo che sta soffrendo, in Iraq ma anche in Libano.”

ECCELLENZA, CI PARLI DELLA SITUAZIONE DEGLI IRACHENI CRISTIANI FUGGITI IN LIBANO.
Anche in assenza di stime ufficiali si può dire che la mia comunità è raddoppiata nel numero in questi ultimi anni. La fuga degli iracheni cristiani era iniziata già prima della guerra del 2003, ma si era trattato di piccoli numeri: 40 o 50 famiglie. Con la guerra e tutto ciò che ad essa segue siamo arrivati ad avere quasi 5000 rifugiati. Gente disperata che per salvarsi la vita ha lasciato tutto dietro di sé ed ora vive in condizioni misere che la chiesa cerca di alleviare.
DA DOVE ARRIVANO I RIFUGIATI CHE LE CHIEDONO AIUTO?
La maggior parte di loro arriva da Baghdad, anche se per molti la prima tappa della fuga è stato magari il nord del paese da cui sono transitati clandestinamente prima in Siria e poi in Libano. Un fiume di persone in marcia verso la vita.
E CHE VITA TROVANO UNA VOLTA ARRIVATI IN LIBANO?
Difficile. Il Libano è un paese piccolo che si è trovato a far fronte a questa marea umana senza esservi preparato. Secondo alcune cifre che mi sono state riferite si parla di 75.000 iracheni sul suolo libanese. Arrivano clandestinamente pagando cifre enormi a chi li aiuta a varcare i confini. Non hanno casa, lavoro, assistenza sociale, scuole, diritti. Una volta in Libano la condizione di clandestinità li rende facile preda del lavoro nero per cui, anche quando lavorano come bestie tutto il giorno i soldi non sono mai sufficienti, basta pensare che l’affitto di una piccola casa è di 400 $ al mese, una cifra enorme per loro. A queste preoccupazioni quotidiane si aggiungono l’ansia per il futuro ed i ricordi del recente, terribile passato.
COSA FA LA CHIESA PER AIUTARE QUESTE PERSONE?
Facciamo tanto, nel senso che il lavoro è enorme, ma è ovvio che è sempre troppo poco viste le esigenze. Abbiamo tanti problemi da risolvere. Uno è la scuola, ad esempio. I moltissimi ragazzi e bambini iracheni non in regola con i permessi di soggiorno non possono frequentare le scuole pubbliche, ma non farlo pregiudicherebbe un futuro già incerto. Così per quelli che di giorno sono costretti a lavorare abbiamo creato una scuola serale, e per quanto riguarda i bambini riusciamo a pagare, ma solo per 400 di loro, le rette di iscrizioni alle scuole private cristiane, le uniche cui possono accedere. Un altro problema è la salute. Le porte delle strutture pubbliche sono chiuse per i clandestini, e per questa ragione ora abbiamo un dispensario medico che però non è ancora attrezzato. Durante un mio recente viaggio in Svizzera è stato donato a questo dispensario un intero gabinetto dentistico ma siamo ancora in attesa che arrivi. Il costo della vita in Libano, inoltre, è alto e per questa ragione la chiesa caldea assicura ogni mese dei pacchi alimentari ai più bisognosi. Una razione di olio, zucchero, latte condensato, tè e legumi del valore di 22 $ che però non solo non riesce a coprire i bisogni di una famiglia, ma che è destinata, vista la scarsità di fondi, solo a 500 persone, un numero minimo rispetto al totale.

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CHI VI STA AIUTANDO?
Il problema dei rifugiati iracheni in Libano, e dei cristiani in particolare, è sottovalutato. Il Libano, nonostante i problemi, viene considerato un paese non in guerra. Per questa ragione, e malgrado la buona volontà di pochi, gli aiuti sono insufficienti. Oltre a ciò c’è da registrare un modo di operare non particolarmente efficace: inviare gli aiuti attraverso grosse organizzazioni internazionali vuol dire uno spreco non solo di denaro, le grosse organizzazioni hanno ovviamente delle spese di gestione da considerare, ma anche di risorse umane e tempo. Perché, chiedo, chi vuole aiutare i rifugiati iracheni cristiani in Libano non lo fa attraverso di noi? Noi non abbiamo spese di gestione, noi viviamo la situazione, noi abbiamo contatti diretti con queste persone che vengono a chiedere aiuto e che visitiamo. Con 10000 $, senza spesa alcuna, noi siamo in grado di distribuire 455 razioni alimentari mensili.


ECCELLENZA, DA PIU’ PARTI SI DICE CHE IL LIBANO SIA, PER GLI IRACHENI CRISTIANI SOLO UN PAESE DOVE ATTENDERE DI POTER EMIGRARE VERSO ALTRI CONTINENTI. E’ VERO O QUESTE PERSONE PENSANO AD UN LORO RITORNO IN IRAQ?
E’ chiaro che la maggior parte di loro vorrebbe tornare. Sono iracheni e fieri di esserlo. Non penso però che le condizioni di un loro ritorno siano possibili, almeno per ora. E’ vero comunque che molti sognano l’America o l’Europa, ma è un errore farlo, e la nostra missione è proprio questa: convincere questa gente a rimanere in Libano e dar loro la possibilità di farlo. Il Libano sta progressivamente perdendo la sua componente cristiana, e la presenza dei fedeli iracheni potrebbe contribuire a riequilibrare le cifre, permettendo loro, inoltre, di rimanere in Medio Oriente e di non recidere completamente le proprie radici. E’ chiaro però che questa gente non può vivere di tradizioni e legami ancestrali. Per questo stiamo seguendo un progetto preciso. La Chiesa Maronita ci ha concesso un grosso appezzamento di terreno su cui sarebbe possibile costruire delle case per queste persone e radicarle sul territorio in maniera legale. Il problema però, sono come al solito i fondi. Abbiamo calcolato che sistemare una sola famiglia costerebbe dai 15.000 ai 20.000 $ per la casa (un prefabbricato) e 1500 $ all’anno per la tassa di soggiorno annuale, oltre le spese vive finché la famiglia non è in grado di mantenersi con il proprio lavoro.


UN PROGETTO IMPORTANTE…
Si, un grosso impegno economico. Pensiamo però che ne valga la pena, siamo certi di questo. Queste persone hanno già sofferto troppo, sarebbe ora che trovassero un po’ di pace.


SE QUALCUNO VOLESSE RACCOGLIERE IL SUO APPELLO AD AIUTARE I RIFUGIATI IRACHENI CRISTIANI IN LIBANO COME POTREBBE FARE, COME POTREBBE ARRIVARE DIRETTAMENTE A VOI CHE OPERATE SUL CAMPO? SO CHE A LUGANO E’ ATTIVO UN BLOGSPOT (in italiano) DEDICATO PROPRIO ALLE SUE ATTIVITA’: Amici di Mons. Michel Kassarji DOVE E' POSSIBILE TROVARE LE INDICAZIONI PER INDIRIZZARE GLI AIUTI: UN CONTO CORRENTE BANCARIO IN SVIZZERA O DIRETTAMENTE GLI ESTREMI DI QUELLO DELL'EPARCHIA CALDEA DI BEIRUT:
Sì, gli amici che gestiscono quel blogspot si sono impegnati a divulgare notizie sulla situazione dei cristiani caldei in Libano. In ogni caso l’indirizzo mail dell’Eparchia Caldea di Beirut, a cui scrivere in francese, inglese ed italiano è:
chaldepiscopus@hotmail.com.


MONSIGNORE, UN ULTIMO APPELLO QUINDI:
Il mio appello è quindi a non dimenticare i rifugiati caldei in Libano. La guerra non è solo bombe ed eserciti, che peraltro purtroppo non mancano neanche nel mio paese, ma anche la terribile lotta che questi cristiani sono obbligati a combattere giorno per giorno e che è colpevolmente dimenticata dal mondo. Per questa ragione chiedo a tutti di aiutarli, di non dimenticarli, di diffondere le notizie sulla loro situazione. Lo scorso anno in un articolo di un settimanale sono stato definito “Il Vescovo Volante” con riferimento alle mie attività. E’ vero. Per questa ragione, per i progetti che devo, ripeto devo, organizzare per questa gente, devo poter volare da loro con soluzioni per i loro problemi, ma posso farlo solo l’appoggio di chi vuole e può aiutarmi ad aiutarli.