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14 novembre 2007

Non c'è pace per gli iracheni cristiani

Fonti: Diverse

By Baghdadhope

Dopo una lunga malattia lo scorso 8 di novembre si è spento a Baghdad Padre Basil Maroghe che per molti anni ha servito la Chiesa Caldea nella Parrocchia del Sacro Cuore della capitale irachena
Da Bassora intanto giungono notizie contrastanti. Da una parte diverse entità politiche e sociali della città hanno inviato a Padre Emad Aziz Banna, parroco caldeo della città, telegrammi di felicitazioni per la prossima nomina a Cardinale del Patriarca Caldeo Mar Emmanuel III Delly, ma nello stesso tempo
Padre Zacaria Sulaqa, parroco siro cattolico della città, denuncia la quasi completa sparizione della comunità cristiana. Delle circa 10.000 famiglie cristiane di Bassora ne sarebbero rimaste poco più che 500 e le cause sono da ricercare, secondo il sacerdote, in diverse ondate migratorie. La prima è quella relativa al periodo dell’embargo che per più di 10 anni ha colpito il paese ed a costretto molti a ricercare una vita migliore all’estero, mentre la seconda, successiva alla caduta del regime, ha le sue ragioni nella difficoltà di vivere come cristiani in una città in cui le loro abitudini ed i loro usi sono sentiti come estranei e quindi avversati anche con la forza.
Una difficoltà che difficilmente potrà essere bilanciata dai segnali di apertura che le autorità cittadine stanno dando ai cristiani ora invitati ad arruolarsi in polizia per, come ha affermato il capo dipartimento della città, Mr. Jalil Khalaf, “limitare l’emigrazione dei cristiani verso l’estero offrendo loro delle possibilità lavorative.”
Ma sarà consigliabile per i cristiani arruolarsi nelle forze di polizia di Bassora? Se il paese stesse vivendo una situazione normale potrebbe anche esserlo, ma normale essa non è, e questo malgrado le parole dello stesso Maggior Generale Khalaf che l’ha definita “buona” forse dimenticando, buon per lui, di essere stato egli stesso vittima di due attentati nelle scorse settimane.
Aumentano intanto i delegati del governo iracheno e di quello del Kurdistan che presenzieranno alla cerimonia di investitura cardinalizia del Patriarca Caldeo Mar Emmanuel III Delly a Roma il 24 novembre prossimo.
I nominativi annunciati come presenti sono infatti, la Signora Wijdan Mikhail Salim, Ministro dei Diritti Umani del Governo iracheno, George Yousif Mansour, Ministro per gli Affari Civili del Governo Regionale Curdo, Yassin Majid, consigliere del Primo Ministro iracheno Nouri al Maliki, Khorkhis Jacoub Bakus consigliere dell’ufficio del Primo Ministro,
e Mohammad Ahmad Saeed Shakaly, Ministro degli Affari Religiosi del Governo Regionale Curdo.
Per quanto riguarda Baghdad alcune famiglie sono ritornate nel quartiere di Dora nella speranza di potere tornare alle proprie case lasciate a causa dell’ondata di violenza che specialmente dal 2006 in poi ha contrapposto le milizie sunnite a quelle sciite per il controllo dell’area. Una speranza però che subito si è infranta contro la realtà di una zona ancora pericolosa in cui molte case sono state completamente depredate ed altre sono state occupate illegalmente. I cristiani di Dora non possono, secondo quanto è riportato, neanche trovare conforto nei propri luoghi di culto visto che ben sette di essi sono oramai chiusi: le chiese caldee degli Apostoli, di Mar Yohanna e di Mar Yacoub, quella della Chiesa Assira dell’Est di Mar Khorkhis, quella della Antica Chiesa Assira dell’Est di Mart Shmoni e quella siro ortodossa di Mar Matti, a cui aggiungere la chiesa del Seminario Maggiore Caldeo di St. Peter ed il Babel College, istituzioni trasferite all’inizio del 2007 nel nord dell’Iraq proprio per ragioni di sicurezza ed ora occupate dall’esercito americano che ne hanno fatto una propria base operativa.
Ed è di poco conforto sapere che proprio su una di queste chiese, quella di Mar Yohanna, la croce è ritornata sulla cupola dov’era originariamente. La foto, scattata dal giornalista Michael Yon, ha fatto nei giorni scorsi il giro del mondo come “indimenticabile icona che indica dei segnali di speranza” come è stata definita in uno dei commenti nel sito, ma la realtà è in quello che non è scritto. Nel fatto cioè che, se è vero che la croce è stata riposizionata con l’aiuto dei vicini musulmani, una chiesa, come ha riferito a Baghdadhope un sacerdote di Baghdad “non funziona solo se è aperta, ma quando vi si possono celebrare i momenti di fede per la comunità” una cosa, questa, non ancora possibile a Dora come è testimoniato dai cristiani che, dal nord, raccontano le proprie vicissitudini. Come ad esempio Lina Benham il cui marito è stato minacciato da militanti islamici perché smettesse di esercitare il suo mestiere di barbiere e quindi di rasare la barba degli uomini che devono conformarsi anche nell’aspetto a ciò che queste persone ritengono sia “islamicamente corretto” ed il cui fratello diciottenne, Nasser, è stato ucciso da un’autobomba scoppiata davanti alla sua scuola.
Se Baghdad è ancora pericolosa Mosul non è però da meno. Almeno 2500 studenti che vivono nei villaggi cristiani vicini alla città hanno dichiarato la propria preoccupazione dei non poter continuare gli studi nel vicino capoluogo perché la strada verso esso è diventata troppo pericolosa. Qualche mese fa otto studenti erano stati rapiti proprio durante il tragitto verso l’università di Mosul e questo aveva spinto la chiesa a fermare il servizio di trasporto con autobus creando non poco disagio agli studenti che denunciano anche di non essere riusciti ad iscriversi negli istituti di Erbil o Dohuk perché non residenti nella regione curda. Un duplice impedimento agli studi che ha portato il Direttorato per l’Istruzione di Qaraqosh (una delle cittadine di provenienza degli studenti) a proporre al governo di Baghdad la creazione in quella zona di un istituto in cui preparare i futuri insegnanti e che eviterebbe agli studenti i costi ed i pericoli del viaggio verso Mosul. Una richiesta che per ora però giace ancora inevasa presso il Ministero dell’Istruzione di Baghdad.
Baghdad e Mosul pericolose per i cristiani quindi, ma anche gli unici posti in cui vivere, o tornare a vivere, per molti di loro. Cominciano ad essere sempre di più infatti i cristiani che, fuggiti verso il nord controllato dal Governo Regionale Curdo, non riescono più a vivere perchè, come denuncia Agnes Yacoub, “Con tanta gente che arriva qui da ogni parte i prezzi sono saliti alle stelle. Questo è il prezzo per la sicurezza, ma non potremmo farcela per molto.”
Una situazione, questa, confermata da Monsignor Rabban Al Qads, vescovo caldeo di Amadhiya ed amministratore vescovile di Arbil, che ha parlato di almeno 20 famiglie che nella scorsa settimana hanno lasciato Ankawa per motivi economici.
Bassora, Baghdad, Mosul, Kurdistan. Sembra proprio che gli iracheni cristiani non debbano trovare pace.