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23 ottobre 2007

Gli iracheni fuggiti dalle loro case affrontano di nuovo il terrore mentre la Turchia bersaglia i ribelli del PKK.


By Michael Howard in Anishky

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Quando Youssef Toma e la sua famiglia lasciarono la loro casa nel pericoloso quartiere di Dora per trovare rifugio tra i picchi e le valli del Kurdistan, pensarono di avere lasciato il terrore dietro di sè, insieme ai propri mobili.
Con l’aiuto delle autorità locali il Sig. Toma, un ex dirigente di una compagnia assicurativa, nello scorso anno si costruì una nuova casa ad Anishky, un villaggio ai piedi del monte Matin nella quiete della Valle Sabna, a 13 miglia dal confine turco.
Il Sig. Toma, un diacono della Chiesa Assira, e la sua famiglia presto divennero membri attivi della congregazione del luogo. Orgoglioso del suo giardino e del suo buon raccolto di pomodori indica con la pala i muri perimetrali del palazzo che Saddam Hussein fece costruire per la moglie Sajida alla fine degli anni 70 – una prova, dice, di quanto l’area fosse apprezzata non solo dai locali.
Eppure la scorsa settimana l’idillio rurale del Sig. Toma è stato brutalmente infranto. Il terrore che aveva provato a Baghdad è ritornato. Per circa 45 terrificanti minuti una serie di colpi dell’artiglieria turca è caduta dal chiaro cielo notturno su Anishky.

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Presumibilmente le truppe turche al di là del confine miravano alle basi ribelli del Partito dei Lavoratori Curdi, il PKK, che si crede nascoste tra le montagne. Ma le hanno mancate.
“La casa tremava, ed io ho detto alla mia famiglia che erano tuoni” ha dichiarato il Sig. Toma guardando una macchia annerita sulla montagna circa 100 metri dietro la casa dove è caduto un colpo di artiglieria. “Ma ho vissuto a Baghdad per 40 anni e conosco il rumore delle bombe. Ne sono cadute 22. Siamo fuggiti dai terroristi islamici ed ora siamo terrorizzati dai turchi. Dove possiamo fuggire?’”
Anishky non è l’unico villaggio che è stato bombardato questa settimana. Secondo quanto ha riferito il Vescovo Shlimon della vicina cittadina di Sersing altri 6 villaggi della zona, molti abitati da rifugiati cristiani da Baghdad, sono stati colpiti.
“Il bombardamento è durato per più di 4 ore ed ha colpito fattorie, ucciso bestiame e distrutto orti e strade usate dagli abitanti, è un miracolo che nessuno sia stato ucciso.”
A Dohuk, capoluogo della provincia, il vice governatore, Gorgees Shlaymoon Kaaee, anch’egli un cristiano, ha dichiarato che quella notte la zona è stata colpita da almeno 250 colpi di artiglieria. “I nostri villaggi esistono da secoli. Non abbiamo niente a che fare con il PKK, eppure veniamo puniti lo stesso.”
Il bombardamento è avvenuto mentre il parlamento turco si preparava ad approvare gli attacchi oltre confini mirati a stanare i guerriglieri del PKK che dal 1984 lottano per i diritti dei Curdi contro le forze turche nella zona sud-orientale della Turchia a maggioranza curda. Secondo la Turchia 30 tra soldati e civili sono stati uccisi nel corso di attacchi da parte del PKK dallo scorso settembre.
Pressione interna
Spinta ad agire da una forte pressione interna, Ankara ha dispiegato circa 60.000 soldati dalla sua parte del confine con l’Iraq, ed ha chiesto che i leaders curdi iracheni, che essa accusa di aiutare il PKK, cooperino con Baghdad nello sradicare le basi dei ribelli e nell’estradare i leaders del PKK. La Turchia accusa anche il governo americano e quello di Baghdad di non fare abbastanza per schiacciare i ribelli in territorio iracheno.
Sebbene il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato questa settimana che un’invasione del nord dell’Iraq non è imminente, i leaders turchi affermano di riservarsi il diritto di proteggere il paese contro i ribelli che lanciano i loro attacchi dall’Iraq. La decisione è stata criticata dalla comunità internazionale che teme che un attacco destabilizzerebbe il Kurdistan iracheno, la regione più sicura. I leaders curdi iracheni hanno chiesto il dialogo e la pace tra le parti.
Il ministro degli esteri iracheno, Hoshyar Zebari, un curdo, questa settimana ha chiesto al PKK di lasciare il territorio iracheno ed ha previsto che un attacco turco al nord dell’Iraq avrebbe portata limitata.
Tutto ciò è però di poco conforto per gli abitanti dei villaggi, particolarmente allarmati dalle notizie secondo le quali i generali turchi avrebbero stabilito dei piani per creare una zona cuscinetto lungo la parte irachena del confine che includerebbe molte zone dove i rifugiati si sono sistemati.
Eppure i turchi sono già qui – e sono stati qui per più di un decennio, con il tacito accordo delle autorità curde. Da un lato della Valle Sabna, un presidio di soldati turchi occupa la base aerea Barmani. Ad est, nella cittadina collinare di Amediya, un carro armato turco sorveglia da un piccolo avamposto. Il loro ruolo è monitorare i combattenti del PKK, sebbene i guerriglieri siano ora lontani. “Non ci piace che siano qui, ma cosa possiamo fare?” dice Mohsen Qatani, un capo tribù locale, “Li ignoriamo e speriamo che ci ignorino. Non è la nostra lotta.”
Il Vescovo Shlimun stima che 6.000 cristiani assiri sradicati dalla violenza da altre parti del paese abbiano trovato rifugio lungo il confine iracheno settentrionale con la Turchia. Questo afflusso ha portato nuova vita nelle semi abbandonate comunità rurali, dice. Questa settimana ad Ashinky, per esempio, un cristiano di Baghdad ha aperto una sala dove la gente può riunirsi per i matrimoni.
“Ma se la Turchia continua con le incursioni o i bombardamenti” dice il vescovo, "come faremo a trovare la pace che stiamo cercando?”
Gli avvertimenti dei rifugiati
Le autorità locali della regione del Kurdistan affermano di temere che 30.000 persone potrebbero essere sfollate se i soldati turchi penetrassero oltre il confine. L’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha anche avvertito del pericolo di una crisi dei rifugiati nel nord Iraq in caso di attacco curdo. “Il governatorato del nord, o Kurdistan.. è l’area più stabile dell’Iraq” ha detto, “è un’area dove si possono trovare anche iracheni provenienti dal centro e dal sud venuti qui in cerca di sicurezza. Posso solo dire che siamo molto preoccupati per quanto riguarda gli sviluppi che potrebbero condurre a significativi spostamenti forzati dela popolazione.”

Nel villaggio di Barnatha, Juliet Jabril, 37 anni, afferma di avere nostalgia della sua vita e del suo lavoro di parrucchiera a Baghdad che ha lasciato a luglio.
“Non c’era alternativa se non quella di partire” dice in lacrime. Aveva visto uccidere un ragazzino di 11 anni che vendeva benzina sulla strada dov'era il suo negozio, ed uomini mascherati erano andati a trovarla e le avevano detto che il suo lavoro era “contro la volontà di Dio.”
“So cosa è successo alle altre parrucchiere”
dice “voglio solo vivere in pace ed ho pensato di trovarla in Kurdistan.” Juliet dice di non essere d’accordo con la violenza del PKK, ma di essere preoccupata che, se costretto a lasciare le proprie basi ciò “potrebbe creare spazio per i militanti islamici in arrivo dall’Iran.”
“Ed allora vedremo gli uomini mascherati nella nostra bella valle.”