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30 giugno 2007

La Chiesa in Iraq deve avere una voce sola

Di Baghdadhope

Il costante peggiorare della situazione degli iracheni cristiani ha imposto un cambiamento di rotta nell’atteggiamento fino ai tempi recenti tenuto dalle gerarchie ecclesiastiche del paese. Alle dichiarazioni rassegnate nei confronti delle violenze che gli iracheni cristiani subivano, riferite come analoghe a quelle di cui anche i musulmani erano vittime, si sono sostituiti la denuncia della persecuzione mirata alla comunità, ed i ripetuti appelli lanciati al mondo cristiano ed alle istituzioni internazionali perchè essa non venga dimenticata e le sue sofferenze non vengano sottovalutate.
I ripetuti rapimenti di sacerdoti e la fuga di migliaia di famiglie cristiane da zone di Baghdad – Dora, innanzi tutto – dove era ormai diventato impossibile sopravvivere per le minacce e le violenze perpetrate dalle milizie islamiche, hanno spinto lo scorso maggio Mar Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei, a pronunciare per la prima volta il termine fino ad allora diplomaticamente taciuto: persecuzione.

“Le persecuzioni cui i cristiani sono soggetti” disse “sono di due tipi: interne ed esterne. La persecuzione interna è quella operata dai loro stessi fratelli che li stanno scacciando dalle loro case e dalle loro terre, e della quale sono responsabili tutti coloro che, al potere, non hanno fatto e non fanno nulla per fermare tale tragedia.La persecuzione esterna è quella che ha toccato la dignità stessa di tutto il popolo iracheno le cui moschee, chiese ed istituzioni sono state distrutte o occupate, senza alcun rispetto per la fede.”
A questa dichiarazione ne sono seguite altre di tono simile, e non poteva essere altrimenti considerando il continuare delle violenze culminate nell’uccisione a Mosul, il 3 giugno, di Padre Ragheed Aziz Kanni e di tre suddiaconi “messi davanti ad un muro e colpiti ripetutamente” come ha riferito commosso al SIR Monsignor Shleimun Warduni, Patriarca Vicario di Baghdad parlando di un paese dove “si viene uccisi, rapiti, minacciati e costretti alla fuga solo perchè cristiani.”
Un paese dove i cristiani sono “vulnerabili per eccellenza” come ha dichiarato il portavoce della Santa Sede, Padre Federico Lombardi che, ribadendo la preoccupazione del Santo Padre ha chiesto di “Non dimenticare il martirio di questi nostri fratelli, inermi in mezzo alla violenza”.
Persecuzione, quindi, e martirio. Parole forti. Parole senza dubbio pesate e dovute alla disperazione in cui la comunità è costretta a sopravvivere. Parole che fanno appello alla coscienza dei cristiani del mondo perchè si rompa il silenzio che fino ad ora, come ha dichiarato Monsignor Warduni, ha “addolorato il cuore dei cristiani iracheni [che] soffre nel vedere l'indifferenza dei loro fratelli cristiani nel mondo,” ma che sono anche rivolte a quella maggioranza di musulmani iracheni che non ha mai visto nel cristiano un nemico, ma che è ostaggio di frange violente di suoi correligionari per le quali anche solo dimostrare solidarietà nei confronti degli “infedeli” è sinonimo di tradimento dell’Islam.
Alla luce, quindi, di questa nuova politica di denuncia da tutti ormai condivisa - tanto che si stanno moltiplicando nel mondo le iniziative di sostegno alla comunità irachena cristiana - stupisce apprendere che Monsignor Avak Asadorian, vescovo di Baghdad della Chiesa Armeno Apostolica neghi la persecuzione dei cristiani in quanto tali ed attribuisca le violenze nei loro confronti solo al loro essere abbienti, e quindi bersaglio delle bande di sequestratori, o al loro “trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato.”
Una tale affermazione che riecheggia il precedente – e fallimentare – atteggiamento di “basso profilo” si basa, secondo il vescovo armeno, sulle “pallottole che non discriminano le vittime su base religiosa.” Sebbene questa dichiarazione si fondi sulla realtà – molti cristiani, ma moltissimi musulmani sono stati e sono vittime innocenti – essa sembra non tenere conto che la distruzione delle chiese non ha niente a che fare con le bande criminali che imperversano in Iraq e che trovano nei cristiani indifesi le vittime più facili da colpire. E neanche del fatto che niente giustifica l’imposizione da più parti denunciata dell’obbligo per i cristiani di pagare la “jizya,” * la tassa di protezione, se non il fatto che chi la impone loro li considera dei cittadini di seconda classe, oltre che una facile fonte di reddito.
Non tutti vedono i problemi sotto la stessa –cattiva – luce si potrebbe dire.
E’ vero. Le reazioni dell’animo umano alle difficoltà sono a volte diverse da persona a persona. Non si tratta di stabilire da che parte è la ragione, ma di ribadire un concetto già espresso e rimasto nella maggior parte dei casi senza applicazione. Gli iracheni cristiani, che siano cattolici o no, devono fare fronte comune. Le divisioni, ed anche un contrasto di valutazione lo è in questo frangente, non giovano. Non comprendere quanto una comunità minoritaria abbia bisogno di rimanere unita contro chi la sta distruggendo vuol dire offrire il fianco scoperto, vuol dire vanificare gli appelli di aiuto alla comunità internazionale che potrebbe non capire la gravità della situazione, confusa da dichiarazioni contrastanti. Proprio le chiese al di fuori dell’Iraq cui lo stesso Monsignor Asadorian si appella potrebbero ritirare ogni eventuale appoggio nel timore di un intervento troppo “invasivo.” Potrebbero chiedere ai rispettivi governi di spingere le potenze occupanti a mantenere le promesse fatte – e non mantenute - a tutti gli iracheni, non sottolineando però la necessità del rispetto delle minoranze che ovunque nel mondo è simbolo di democrazia, e lasciandone la responsabilità all’attuale governo iracheno che si è per ora limitato a sole parole di circostanza in occasione di fatti gravi.
La divisione interna alla comunità irachena cristiana ha già portato alla loro quasi totale scomparsa dalla scena politica nazionale a causa della frammentazione in una miriade di partiti e partitini che hanno “spalmato” i voti in nome di una pretesa “pluralità democratica.”
La Chiesa non dovrebbe ripetere lo stesso errore. Pur nel rispetto delle divergenze, anche solo di vedute ed interpretazioni, il bene comune della comunità deve metterle a tacere. Questo, d’altronde, è proprio uno dei punti discussi durante la riunione del Consiglio dei Capi Cristiani di Baghdad di cui lo stesso Monsignor Asadorian è Segretario Generale, tenutosi nel dicembre 2006, quando si sottolineò “la necessità per i cristiani del paese di parlare con una sola voce.”
La cacofonia di suoni contrastanti può rendere il mondo sordo alle grida di aiuto di una comunità che, come ha ricordato Monsignor Philip Najim, Procuratore Caldeo presso la Santa Sede “sta morendo.”

* La Jizya era il tributo di capitolazione con il quale giudei e cristiani riconoscevano lo Stato islamico. Il pagamento della "jizya" conferiva loro lo status di "dhimmiy" (protetti) e con il quale ottenevano il diritto di vivere in pace e in sicurezza nello Stato islamico.
Il Corano. Traduz. it. Di Hamza R. Piccardo. Newton & Compton, Roma, 1999

Clicca su "leggi tutto" per l'articolo originale sulle dichiarazioni di Monsignor Avak Asadorian dal sito del World Council of Churches, e per la traduzione ed adattamento in italiano di Baghdahope.

“Ci hanno rubato le notti di Baghdad”
In un’intervista a Juan Michel una figura importante della cristianità irachena espone la sua visione della situazione in un paese piagato dalla violenza.
“Io vengo da un Iraq ferito e da un’ancora più gravemente ferita Baghdad” ha detto l’uomo vestito di nero a 130 rappresentanti ecclesiastici provenienti da sei continenti e riuniti per una conferenza sulla pace in Medio Oriente che lo ascoltavano in silenzio. “La situazione nel mio paese è tragica” ha continuato l’uomo, “ci era stata promessa la libertà ma ciò di cui abbiamo bisogno è la libertà di avere elettricità ed acqua pulita, di soddisfare i bisogni basilari, di vivere senza temere di essere rapiti.”
L’uomo che ha parlato alla conferenza internazionale del World Council of Churches (WCC) intitolata “Le chiese insieme per la pace e la giustizia in Medio Oriente” che si è tenuta ad Amman dal 18 al 20 giugno era l’Arcivescovo Avak Asadourian, primate della chiesa Armena Apostolica in Iraq.
Asadourian era ad Amman in rappresentanza del Consiglio dei Capi Cristiani di Baghad. Creato nel luglio del 2006 il Consiglio è formato da 17 capi religiosi, compresi due patriarchi, appartenenti a quattro grandi famiglie cristiane: cattolica, orientale, ortodossa e protestante, ed Asadourian ne è segretario generale.
Perché i capi religiosi di Baghdad hanno creato il Consiglio?
Per prenderci cura dei fedeli in questi tempi difficili e per tenersi in contatto con gli altri organismi cristiani. Il Consiglio illustra i bisogni della nostra gente alle organizzazioni umanitarie e si occupa di distribuire i loro aiuti.
Qual è la situazione degli iracheni cristiani?
La situazione è uguale per tutti gli iracheni, cristiani o musulmani, ed è tragica. Le pallottole non discriminano le vittime su base religiosa. Ogni giorno gli attacchi terroristici colpiscono persone che potrebbero rappresentare la base di partenza del nuovo Iraq: professionisti, medici ed ingegneri causando una “fuga di cervelli” verso l’estero, una vergogna se si pensa che ci vogliono decenni per formare tali professionalità.
I cristiani vengono colpiti a causa della loro fede?
Non proprio, a parte negli ultimi tempi quando ai cristiani che vivevano in alcune aree di Baghdad è stato ordinato di lasciare la zone pena la morte. La violenza colpisce tutti in ugual modo. Naturalmente in un contesto di completa mancanza di legge ci sono criminali che fanno ciò che vogliono: minacciano, rapiscono, uccidono. Recentemente due sacerdoti cristiani, uno ortodosso ed uno caldeo, sono stati uccisi. Nella mia chiesa 27 persone sono morte dal 2003 a causa delle violenze. Sebbene non bersagli destinati essi semplicemente erano nel posto sbagliato al momento sbagliato. Altre 23 persone sono state rapite. Dato che molti cristiani sono relativamente abbienti i cristiani diventano bersagli per motivi di riscatto, proprio come succede ai ricchi musulmani.
Secondo l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite circa 1.200.000 iracheni sono fuggiti dal paese dall’inizio dello scorso anno. Che cosa ci dice degli iracheni cristiani?
Prima della guerra i cristiani rappresentavano il 7/8% della popolazione, oggi questa percentuale è scesa al ¾%. I cristiani si stanno anche trasferendo nel nord del paese, in zone relativamente più sicure. Le chiese si stanno svuotando. In genere ad ogni funzione assistevano circa 600/700 fedeli, ora circa 100/150. Le ragioni sono molteplici: la paura di uscire, o semplicemente il non avere benzina per le auto – le code agli impianti sono lunghe dai tre ai cinque chilometri – o il fatto che si sono trasferiti fuori Baghdad.
Com’erano le relazioni tra islamici e cristiani prima della guerra , e come sono ora?
Noi cristiani abitavamo nel paese prima che l’Islam vi arrivasse, specialmente nella sua parte settentrionale. Ma le distinzioni basate sulla fede non sono mai state un problema: sunniti, sciiti, cristiani. Le nostre relazioni erano amichevoli e sono diventate problematiche solo dopo l’inizio della guerra. In ogni caso noi lavoriamo per mantenere dei ponti tra noi. Per due volte abbiamo incontrato il più importante clerico sciita, l’Ayatollah Ali al-Sistani, così come la leadership sunnita. E a questo proposito voglio riconoscere i meriti di ognuno: i vertici religiosi musulmani hanno fatto il possibile per evitare che il presente conflitto si trasformasse in una vera e propria guerra civile.
State provando sulla vostra pelle lo scontro delle civiltà?
Non vedo uno scontro di civiltà ma una guerra con tragici esiti per ambo le parti in causa. Mi sembra che le potenze occupanti non hanno lavorato bene, una cosa è prendere un paese, un’altra è gestirlo bene in modo che la gente possa essere in grado di esercitare la libertà [acquisita]. Per rendere effettiva la democrazia ci vuole sicurezza, la democrazia non è solo un concetto ma anche un sistema di vita. Oggi in Iraq abbiamo bisogno delle libertà fondamentali, di non avere paura, di lavorare, di viaggiare per soddisfare i nostri bisogni primari. Una delle tragiche caratteristiche dell’attuale situazione è che ci hanno rubato le notti di Baghdad.
Quale pensa sia una possibile soluzione?
Le potenze occupanti devono mettere in atto le convenzioni di Ginevra e garantire la sicurezza nel paese. Se fossero in grado di darci sicurezza tanti problemi sarebbero risolti. Il nostro è un paese ricco, abbiamo terra, acqua, intelligenza, le seconde riserve del mondo di petrolio, cosa che in realtà ha rappresentato più una maledizione che una benedizione.
Il mio messaggio al mio gregge è questo: non abbiate paura ma stiate attenti. Affrontare questa terribile situazione con ottimismo e lavorate e pregate per un futuro migliore.
Come possono le chiese del mondo aiutarvi?
Mi chiedo se le chiese al di fuori dell’Iraq stanno parlando di questa questione in modo abbastanza coraggioso da farsi udire. Se fossero in grado di presentarla con efficacia ai rispettivi governi dovrebbero dire alle potenze occupanti di mantenere le promesse fatte di una vita migliore in Iraq. Le promesse di un brillante futuro dovrebbero essere messe in pratica. Un punto fondamentale della parabola del Buon Samaritano non è solo che egli abbia offerto aiuto, ma che l’abbia fatto in modo completo ed efficace.
Alcune chiese americane hanno chiesto un calendario di ritiro delle truppe USA dall’Iraq. Cosa ne pensa?
A questo punto non lo so… E’ una lama a doppio taglio. Una tale soluzione porterà la pace o farà il gioco dei terroristi? In ogni caso un’occupazione non è mai accettabile ed è sempre qualcosa di temporaneo che deve finire.Il mio messaggio alle chiese del mondo, specialmente a quelle dei paesi occupanti è: aiutateci a migliorare la vita degli iracheni, ad alleviare le loro sofferenze, a far mantenere ai loro governi le promesse di un futuro migliore sotto ogni aspetto, e chiedete a Dio aiuto per questo sforzo umanitario.

Il World Council of Churches promuove l’unità dei cristiani nella fede, nella testimonianza e nel servizio per un mondo giusto e pacifico. Associazione ecumenica fondata nel 1948 la WCC oggi riunisce 347 chiese tra Protestanti, Ortodosse, Cattoliche ed altro in rappresentanza di 560 milioni di fedeli in 110 paesi del mondo, e collabora con la Chiesa Cattolica Romana. Il Segretario Generale del WCC è il Reverendo Samuel Kobia, della Chiesa Metodista del Kenia. Il quartier generale del WCC si trova a Ginevra, in Svizzera.

"They have stolen the nights of Baghdad from us"
In an interview with Juan Michel (*) a prominent Iraqi Christian shares his views on the situation in the violence-plagued country.

"I come from a wounded Iraq and a severely wounded Baghdad," said the man in black habit standing in front of some 130 silent church representatives from six continents gathered for a peace conference on the Middle East. "The situation in my country is tragic," the man continued. "We were promised freedom, but what we need today is freedom to have electricity, clean water, to satisfy the basic needs of life, to live without fear of being abducted."

The man addressing the World Council of Churches (WCC) 18-20 June international conference "Churches together for peace and justice in the Middle East" in Amman, Jordan was Baghdad's Armenian Archbishop Avak Asadourian, primate of the Armenian Apostolic Church (See of Etchmiadzin) in Iraq.

Asadourian was in Amman representing the Council of Christian Church Leaders in Baghdad. Created in June last year, it is a body made up of 17 church leaders, including two patriarchs, from four Christian families: Catholic, Oriental and Eastern Orthodox and mainline Protestants. The Armenian primate is its general secretary.
Why did Baghdad's church leaders establish this council?
To take care of our faithful in these difficult times and to keep in touch with other Christian bodies. The Council presents the needs of our people to humanitarian organizations and channels their help.
What is the situation of Iraqi Christians today?
The situation is the same for all Iraqis, Christians or Muslims, and it is a tragic one. Bullets do not discriminate between religions. Every day terrorist attacks are targeting people who could be the cornerstone of a new Iraq: professionals, physicians, and engineers. And this is resulting in an across-the-board brain drain, which is a shame since it takes decades to train qualified people.
Are Christians being targeted because of their religion?
Not as such, except lately when Christians living in a certain area of Baghdad have been ordered to leave or be killed. The violence is targeting everyone in the same way. Of course, in a context of complete lawlessness, some thugs do whatever they want. They can threaten you, kidnap or kill you.
Recently, two Christian priests, one Orthodox and the other Chaldean, were killed. In my church, 27 members have died because of the violence since 2003. Although not personally targeted, they were simply in the wrong place at the wrong time. Another 23 members have been kidnapped. Since many Christians are relatively well off, they become targets for possible ransom, just like well-off Muslims do.
According to the United Nations High Commissioner for Refugees, some 1.2 million people have fled Iraq since the start of last year. What about the Iraqi Christians?
Before the war, Christians made up some 7-8% of the population. Today, they are 3-4%. Christians are also moving north within the country, to relatively safer areas. The churches are emptying. In my own church, we used to have some 600-700 faithful worshipping every Sunday. Today, they are 100-150. The reasons are several: they might be afraid of going out, but they also might simply not have petrol in their cars - queues at gas stations are three to five kilometres long - or they might have moved out of Baghdad.
What were Muslim-Christian relations like before the war and what are they like today?
We Christians were in the country before Islam arrived, especially in the northern part. But faith-based distinctions were never an issue: Sunni, Shia, Christian. Our relationships were very amicable. These differences only became an issue after the war started. However, we work to maintain bridges. We have twice visited the country's most prominent Shia cleric, Ayatollah Ali al-Sistani, as well as the Sunni leadership. And I want to give credit where credit is due. High-ranking Muslim clerics deserve credit for their efforts in trying to prevent the present conflict from evolving into a full-blown civil war.
Are you experiencing the impact of clashing civilizations?
I don't see a clash of civilizations but a bungled war with tragic results for both sides. It seems to me that the occupying powers did not do their homework well. It is one thing to take over a country, and another thing to run it properly in order to allow people to be able to exercise freedom. Security is needed to make democracy viable. Democracy is not only a concept, but also a way of life. Today in Iraq, we need basic freedoms, like freedom from fear, freedom to work, to travel in order to satisfy basic needs. One of the tragic features of the current situation is the fact that they have stolen the nights of Baghdad from us.
What do you think would be a possible way out?
The occupying powers have to enforce the Geneva conventions and guarantee the security of the country. If they were able to bring about security, a lot of problems would be solved. Ours is a rich country. We have land, water, brainpower, the second largest oil reserves in the world - which ultimately instead of being a blessing has become a curse.
My message to my flock is: do not be afraid, but be careful. Confront this dire situation with optimism, and pray and work for a better future.
How could churches outside Iraq help you?
I wonder whether churches outside Iraq are speaking about this issue boldly enough to be heard. If they were able to advocate effectively with their governments, they should tell the occupying powers to fulfill their promises of a better life for Iraq. Promises of a bright future should now be substantiated. One key point in the story of the Good Samaritan is that he not only extended help, but his help was complete and effective.
Some US churches have been asking for a timetable for the withdrawal of US troops from Iraq. What do you think about this?
At this point in time, I don't know... It's a two-edged sword. Is it going to bring about peace or play into the hands of terrorists? But an occupation is never acceptable and is always something temporary that should eventually come to an end.
My message to churches outside Iraq, specially to those in the occupying countries, is: Help us to make life better for the Iraqi people, to alleviate its suffering, to keep their governments' promises for a better future in all walks of life, and ask for God's help in this humanitarian endeavor.

(*) Juan Michel, WCC media relations officer, is a member of the Evangelical Church of the River Plate in Buenos Aires, Argentina.