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28 giugno 2007

Chiusura dell'anno accademico del Babel College ad Ankawa: intervista a Monsignor Jacques Isaac

Di Baghdadhope

E’ un segno di speranza che ci dà il coraggio di continuare.” Con queste parole Monsignor Jacques Isaac, Rettore del Babel College, l’unica facoltà teologica cristiana in Iraq, ha commentato la cerimonia di laurea svoltasi oggi presso il Centro Culturale Caldeo di Ankawa. Al momento di festa hanno partecipato, oltre ai parenti ed amici dei 12 nuovi dottori ed a Monsignor Isaac che l’ha diretta, Monsignor Faraji P. Rahho, vescovo caldeo di Mosul, Monsignor Mikha P. Maqdassi, vescovo di Al Qosh, il generale Luigi Orsini, rappresentante ad Erbil del Ministero degli Affari Esteri italiano, ed un rappresentante di Sarkis Aghajan Mamendu, Ministro delle Finanze del Governo Regionale Curdo nel cui territorio si trova Ankawa. Il gruppo di neo laureati - 2 laici, 1 suora e 8 seminaristi caldei – è stato dedicato ai “Martiri della Chiesa” ha sottolineato Monsignor Isaac con chiaro riferimento non solo al barbaro assassinio di Padre Ragheed Aziz Kanni e di tre suddiaconi a Mosul lo scorso 3 giugno, ma anche a quelli di due docenti ed un seminarista direttamente legati al Babel College nel corso degli ultimi due anni. Nel discorso tenuto ai presenti Monsignor Isaac ha ricordato le difficoltà che la facoltà ha dovuto affrontare nell’ultimo anno, compreso il
forzato trasferimento della sua sede dal quartiere di Dora a Baghdad ad Ankawa per l’assoluta mancanza di sicurezza che di fatto ne bloccava le attività, ha lodato lo sforzo che tutte le sue componenti - corpo docente, amministrativo e studentesco – hanno compiuto per non perdere l’anno accademico e garantire la continuità degli studi, ed ha letto il messaggio di congratulazioni inviato dal Patriarca di Babilonia dei Caldei, Mar Emmanuel III Delly. Orgoglioso e felice di aver terminato con successo un altro difficile anno accademico, e fiducioso nei “piani del Signore che magari non abbiamo capito ma ci sono, e nella Divina Provvidenza che ci ha permesso di trasferire la facoltà e continuare il nostro lavoro, e che magari un domani ci permetterà di tornare a Baghdad per far rinascere la vecchia sede senza però abbandonare quella nuova di Ankawa” Monsignor Isaac ha risposto ad alcune domande di Baghdadhope.

Alla metà di aprile l’edificio del Babel College a Dora è stato occupato dai soldati americani senza il permesso della Chiesa Caldea che ne è proprietaria. A che punto è la domanda di restituzione avanzata dalla chiesa?

"Il Babel College è tuttora in mano degli americani che lo hanno trasformato in una base militare, e le richieste di restituzione sono cadute nel vuoto. D’altra parte il timore è che se le truppe americane lasciano l’edificio – ed anche il vecchio seminario caldeo ad esso vicino – esso sarà occupato da elementi di Al Qaeda, gli stessi che hanno già preso possesso del convento delle suore caldee del Sacro Cuore, sempre a Dora."

La zona di Dora continua quindi ad essere estremanente pericolosa…

"Si. 1400 famiglie cristiane hanno lasciato Dora per trasferirsi chi all’estero, chi nel nord e chi in altre zone di Baghdad. Sono famiglie distrutte, fuggite dai tentativi di farle convertire, di pagare la tassa di protezione, fuggite senza niente, con un passato distrutto ed un futuro incerto. Proprio oggi un sacerdote di Baghdad ha telefonato alla ricerca di aiuto per alcune di esse. La Chiesa fa quello che può, ma non è mai abbastanza per ciò che stanno soffrendo. Le chiese a Dora sono chiuse, a Mar Yacoub, ad esempio, erano rimasti due fratelli di guardia che sono stati uccisi, ma anche in altre zone della città la situazione è grave, per un totale di 23 chiese caldee ci sono solo 12 sacerdoti eppure i fedeli, per quanto pochi, cercano ancora di frequentarle, di avere dai sacerdoti e dalla preghiera quel conforto che è così difficile da trovare a Baghdad."

Moltissimi cristiani sono fuggiti al nord, ma è davvero sicuro?

"Ci sono diversi problemi nel nord non controllato dal governo curdo. Monsignor Rahho, il vescovo di Mosul, oggi ha riferito che ormai metà della popolazione di fede cristiana della città è fuggita, ed anche i piccoli centri non sono sicuri, secondo i sacerdoti di Qaraqosh, ad esempio, quasi ogni giorno qualche persona del villaggio viene rapita. Qaraqosh è un piccolo centro e chi vuole studiare o lavorare deve per forza spostarsi verso Mosul, un viaggio molto, molto pericoloso."

Ad Ankawa, invece, dove il Babel College è stato trasferito?

"Qui si sta meglio, anche se il pensiero di ciò che la comunità sta soffrendo ci impedisce di vivere serenamente la nostra vita. In ogni caso dobbiamo andare avanti, ed il Babel College è uno dei progetti che rappresentano il futuro per gli iracheni di fede cristiana. E’ già iniziata la costruzione di un nuovo edificio che servirà ad ampliare quello esistente. Il primo piano, già terminato, ospiterà la biblioteca ed alcuni uffici mentre al secondo, che sarà finito in un paio di mesi, ci saranno quattro aule ed una sala computer per il collegamento internet. Non dobbiamo fermarci o arrenderci, malgrado le difficoltà. Dobbiamo, vogliamo, avere fiducia. Il consiglio di facoltà ha già stabilito i programmi per il prossimo anno accademico e tra poche settimane sarà stampata la guida per gli studenti. Anche le riviste che dirigo, Nağm Al-Mashriq (Stella d’Oriente) e Beit Nahrein (Mesopotamia) continuano ad essere stampate e distribuite nelle chiese ed ai fedeli."

Ha parlato della biblioteca nel nuovo edificio del Babel College, vi sono stati trasferiti i libri che prima erano a Baghdad?

"No, purtroppo quei libri sono ancora a Dora e per ora è impossibile recuperarli. Ad aprile sono stato nel vecchio edificio per prendere dei documenti importanti e anche solo per quelli è stato difficile, visto il controllo delle truppe americane. Per la biblioteca di Ankawa stiamo acquistando nuovi libri, e proprio due giorni fa è tornato da Beirut un sacerdote incaricato del loro acquisto mentre un altro ha provveduto ad inviarcene molti da Roma. Anche per la biblioteca ci vuole fiducia, pazienza e fede. Come per tutto anche se, ed è una cosa che prima non dicevo, non c’è dubbio che la comunità cristiana irachena stia vivendo un periodo davvero buio, un periodo che definirei, come ha già fatto il nostro Patriarca, di “persecuzione.”