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25 giugno 2007

Alla luce del sole. Il "no" dei vescovi caldei al "Piano assiro di Niniveh"

Fonte: SIR

di Daniele Rocchi

Le continue e violente persecuzioni contro i cristiani iracheni ad opera di fondamentalisti islamici, sunniti e sciiti - non ultimo il rapimento il 20 giugno di alcuni studenti universitari e docenti cristiani a Qaraqosh (nel nord) - stanno facendo nascere, in molti analisti, come anche all'interno della stessa minoranza cristiana in particolare assira (un termine che mira ad includere anche caldei e siriaci), l'idea che sia sempre più necessario istituire una "regione autonoma cristiana irachena". Questa dovrebbe nascere nella piana di Niniveh, * ai confini con il semiautonomo Kurdistan, e qui dovrebbero ritrovarsi i cristiani che fuggono da Baghdad, Bassora, Kirkuk, Mosul. A Niniveh, storicamente la capitale dell'antica Assiria, dovrebbe dunque riprendere quota il sogno nazionale assiro, quello cioè di una zona indipendente, una sorta di provincia autonoma cristiana. Un sogno fino ad oggi mai realizzato e peraltro avversato, con motivi consonanti, da una larga parte dell'episcopato caldeo.
UNA ZONA SICURA?
Tra i principali sostenitori del "piano assiro" ci sono nazionalisti cristiani iracheni sostenuti dalla diaspora cristiana negli Stati Uniti d'America, gli evangelici e anche il ministro delle Finanze del Kurdistan, Sarkis Aghajan, che nel corso dell'ultimo anno ha finanziato la ricostruzione di numerosi di villaggi e chiese al nord. Appoggio alla "Piana di Niniveh" anche dai vescovi cattolici degli Stati Uniti d'America che, nell'ottobre 2006, avevano scritto al segretario di Stato Condoleezza Rice per chiedere a Washington di considerare la possibilità di creare una nuova "regione amministrativa" intorno a Ninive, direttamente collegata al governo centrale di Baghdad che "potrebbe offrire maggiore sicurezza e maggiori opportunità di controllare le loro attività".
CONTRARI A OGNI DIVISIONE.
"Una divisione etnico-confessionale dell'Iraq non ha senso. I cristiani sono dappertutto in Iraq come lo sono i sunniti e gli sciiti. Perché dividere il nostro Paese?". A bocciare il "Piano di Niniveh" è il patriarca caldeo di Baghdad, MAR EMMANUEL III DELLY. "Siamo contrari ad ogni divisione confessionale dell'Iraq", ha affermato il patriarca che ha affidato la sua dichiarazione al procuratore caldeo presso la Santa Sede, padre PHILIP NAJIM. "Non possiamo negare delle difficoltà: ci sono cristiani in fuga nel Nord. Bisogna aiutarli e dare loro i mezzi necessari per vivere, in attesa che, un giorno, possano rientrare nelle loro case, riprendersi le loro terre e proprietà che hanno dovuto lasciare. È un diritto fondamentale che ogni Stato deve assicurare ai propri cittadini". Mar Delly ha poi aggiunto: "Se ci sono dei villaggi completamente cristiani desideriamo che siano governati da un'amministrazione cristiana. L'Iraq - ha ribadito - è sempre stato aperto ed è quindi inutile creare divisione. Avevamo cristiani ovunque in Iraq e abbiamo relazioni ed amicizie durature con tutti cui non vogliamo rinunciare. Gli iracheni sono sempre stati un popolo unito". Nessun dialogo, invece, con i terroristi perché "usano la religione per i loro scopi arrecando solo danno all'Islam che confessa l'immagine di Dio onnipotente. Chiediamo ai capi musulmani di protestare contro questo fondamentalismo e terrorismo che danneggiano l'immagine dell'Islam".
NON È UNA SOLUZIONE IDONEA.
"Non è una soluzione idonea". Anche mons. SHLEMON WARDUNI, vescovo ausiliare di Baghdad, boccia il progetto assiro della "Piana di Niniveh". "Il cristianesimo è come il sale, come la luce, sta dappertutto, non può chiudersi. È necessario rivendicare la libertà religiosa e il rispetto dei cristiani, ed è illogico rinchiuderli in una gabbia. Così facendo diventeremmo ancora di più una preda. Abbiamo tanti monumenti, tanti luoghi di culto storici, come possiamo abbandonarli per andare in un posto nuovo?", è la domanda di mons. Warduni. "Bisogna riflettere prima di fare dei passi. I cristiani sono una presenza significativa in Iraq da duemila anni. Siamo iracheni a pieno titolo e siamo sempre rimasti fedeli al nostro Paese". Da parte di mons. LOUIS SAKO, vescovo di Kirkuk, arriva l'invito a essere "obiettivi, realistici e prudenti". "Il progetto di Niniveh è strumentalizzato e rischia di essere indirizzato oggi ai cristiani dell'Iraq, domani a quelli d'Egitto o del Libano. Coloro che premono per la realizzazione di questa utopia sono in maggioranza fuori dall'Iraq e non conoscono la situazione interna". Il riferimento è anche all'arrivo di tanti rifugiati al Nord, "dove non vi è già più posto. Un villaggio che aveva 2mila abitanti ora ne conta 3mila. Non c'è lavoro, scuole, università, mancano i servizi. Dove e come si sistemerebbero le 30mila persone che dovrebbero arrivare da Bagdad, Bassora, Kirkuk e Mosul?". Per mons. Sako, "il ghetto per i cristiani" che si verrebbe a creare "comporterebbe scontri senza fine. Per questo non solo preti e vescovi ma anche leader di partiti in Iraq sono in maggioranza contrari a questo progetto. Creare cantoni chiusi per i cristiani o per le altre comunità sarebbe una catastrofe".

* Nella piana di Niniveh, ai confini con la provincia semiautonoma del Kurdistan e circondata per gran parte dagli arabi, ci sono circa venti villaggi cristiani, dove si parla il "sureth" un dialetto siriaco. La zona è sotto la giurisdizione di Mosul - da cui dista circa 35 km. - e che è il centro culturale, commerciale ed ecclesiastico. La Piana è circondata da villaggi arabi, shebac, yezidi e curdi. Vi abitano 120 mila cristiani.