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4 maggio 2007

Appello di vescovi caldei al summit di Sharm el-Sheikh e ai musulmani nel mondo

Fonte: Asia News

I prelati rendono pubblica una lettera ai rappresentanti internazionali radunati in Egitto per il futuro dell'Iraq. Essi chiedono la fine delle violenze verso i cristiani e il ritorno alla costruzione comune del Paese nella pace e diversità.

“Uniamoci per mettere fine a questa violenza, a questa follia per la ragione umana”: è l‘invito pressante che alcuni vescovi caldei lanciano a tutto il mondo, e soprattutto ai “fratelli musulmani”, e ai rappresentanti della comunità internazionale riunita da ieri a Sharm el-Sheikh, per affrontare il futuro del Paese. L’appello giunto ad AsiaNews chiede che cessi la persecuzione dei cristiani, vessati da “minacce, requisizioni, rapimenti ed uccisioni”; che si metta freno alla distruzione “culturale, istituzionale ed economica” in cui l’Iraq sta scivolando; che tutte le componenti sociali e religiose “si uniscano per il comune obiettivo della pace”.
Di seguito riportiamo il messaggio integrale, nella versione italiana pervenuta ad AsiaNews, firmata dei vescovi caldei del nord Iraq. Gli stessi presuli spiegano che “il testo originale in arabo è stato inviato anche ai medi iracheni nel tentativo di promuovere una vera riconciliazione”.

Clicca su "leggi tutto" per il testo della lettera dei Vescovi.

"In questi ultimi quattro anni il nostro popolo iracheno ha subito e subisce ancora oggi una grande sofferenza sotto forma di minacce, rapine, emigrazione forzata, attentati e uccisioni e che hanno causato migliaia di morti innocenti e la distruzione totale delle istituzioni irachene e delle infrastrutture nazionali. Tutto ciò rappresenta una follia per la ragione umana.
Perciò chiediamo urgentemente a tutta la comunità internazionale, ai partecipanti alla Conferenza di Sharm el-Sheikh, alle forze di coalizione e ai rappresentanti politici iracheni di intervenire in modo efficace e immediato per proteggere la vita degli iracheni innocenti, le loro proprietà, i loro diritti e la loro libertà personale. Preghiamo anche tutte le autorità religiose di far sentire la propria voce a difesa della salvezza del nostro Paese e dei suoi figli e figlie, affinché possa mantenersi integro il meraviglioso tessuto sociale della nostra società irachena, la cui perdita porterebbe solo ad una disastrosa distruzione della sua antica civiltà, cultura e religione.
In particolare chiediamo di fermare tutte le minacce, le rapine, l’emigrazione forzata dirette al nostro popolo cristiano e affermiamo con insistenza che i cristiani sono autentici iracheni, una delle componenti più antiche di questo popolo. I cristiani hanno sempre cercato di integrarsi attivamente con tutti i loro fratelli arabi, curdi, turcomanni, sciiti, sunniti, yezidi, nella vita sociale e hanno avuto un ruolo importantissimo nella costruzione dei valori storici e nazionali, contribuendo in modo decisivo col loro stile di vita pacifico al destino dell’Iraq.
Confermiamo anche il rapporto essenziale tra Cristianesimo ed Islam, che come religioni monoteistiche cercano con il loro insegnamento di diffondere la Carità, il Bene e la Pace. Dio conosce le nostre diversità, che esistono per Sua stessa volontà: “Se il Tuo Signore avesse voluto, avrebbe creato tutti gli uomini come un’unica nazione” (Corano, Yonis, 99). Dobbiamo accettare il Suo disegno divino e rispettare la diversità, che ci rende un giardino con fiori diversi, di cui ognuno con il suo profumo glorifica il Dio Creatore.
Crediamo che la religione sia una realtà portatrice di pace e siamo convinti che Dio si riveli in modo esclusivo e chiaro nella pratica della Pace, Giustizia, Misericordia, Tolleranza, Riconciliazione e Perdono.
Fratelli, basta con violenze, minacce, attentati e uccisioni! Lasciateci lavorare insieme, mano nella mano, per realizzare l’Unità, la Sicurezza e la Prosperità del nostro Paese, l’Iraq."

Seguono le firme:
Mons. Paulos Faraj Rahho (Mosul)
Mons. Petros Harboli (Zaku)
Mons. Rabban al-Qas (Amadiyah ed Erbil)
Mons. Mikhael Maqdassi (Alquoch)
Mons. Louis Sako (Kirkuk)"