Pagine

7 gennaio 2007

Per riflettere, senza pregiudizi...

8 agosto 2004 Il governo iracheno ad interim guidato da Iyad Allawi ripristina la pena di morte sospesa dalla Provitional Coalition Authority il 9 aprile 2003.
1 settembre 2005 Ahmad al-Jaf, ‘Uday Dawud al-Dulaimi e Jasim ‘Abbas, accusati di rapimento, stupro ed omicidio di alcuni poliziotti, sono i primi uomini la cui condanna a morte risulta eseguita nell’Iraq del post-Saddam.
30 dicembre 2006 Saddam Hussein viene impiccato.

Sebbene le cifre non siano precise, tra il settembre del 2005 ed il dicembre 2006, molte altre sentenze di morte sono state eseguite in Iraq e nel Kurdistan iracheno, come risulta dalla documentazione di Amnesty International.

Sia i primi che l’ultimo sono stati condannati a morte da un governo che la maggior parte del mondo considera illegittimo perché nato per volere degli USA e da essi controllato, eppure quasi nessuno, tranne le organizzazioni che si occupano dei diritti umani di “tutti,” conosce i nomi dei primi, mentre quasi tutti hanno visto il filmato dell’impiccagione dell’ultimo.
Chi, prescindendo dalle diverse motivazioni politiche e strategiche che avrebbero consigliato almeno il posporre dell’impiccagione di Saddam Hussein, si è opposto ad essa agitando la bandiera della difesa della vita avrebbe avuto il dovere morale di farlo anche prima, per lo stupratore come ha fatto per il dittatore, per chi ha ucciso dei poliziotti così come per colui che ha massacrato gli oppositori.
Un’esecuzione non dovrebbe valere meno di un’altra.

------------------------------------------------------------------------------------------------

La maggior parte del mondo riconosce come sbagliata la politica della “imposizione della democrazia” in Iraq. La stessa parte del mondo auspica la formazione di una democrazia irachena. Il termine democrazia (demos = popolo e cratos = potere) significa governo del popolo. Governo del popolo significa la scelta politica attuata dalla maggioranza di esso. La maggioranza del popolo iracheno è formata da arabi sciiti e curdi sunniti, le due componenti del paese che più hanno sofferto della politica della vecchia minoranza al potere: gli arabi sunniti. Conclusione: malgrado l’attuale governo si regga sulla presenza delle truppe di occupazione straniere esso è espressione della maggioranza numerica della popolazione, quindi “governo del popolo.” Come tale, proprio a causa delle passate sofferenze esso avrebbe, anche senza il pesante giogo americano, decretato la morte del dittatore. Criticare una tale scelta vuol dire non riconoscere né ora, ma neanche in futuro, la possibilità che l’Iraq diventi un vero stato democratico, come pure tutti auspicano. Vuol dire, inoltre, come ha sottolineato lo stesso premier iracheno, Nuri Al-Maliki, intromettersi negli affari interni del popolo iracheno sulla base dell’encomiabile principio del rispetto della vita umana, un principio però che se in molti paesi del mondo ha avuto il tempo di maturare con la storia, non ha avuto lo stesso tempo in Iraq. Se da una parte giustamente si condanna l’imposizione della democrazia che dovrebbe essere elaborata dal popolo sulla base delle sue esperienze, dall’altra si pretende che essa, nata zoppa e schiava, arrivi in tre anni dove addirittura molti paesi che di essa si considerano difensori non sono ancora giunti. L’Iraq non troverà la strada per la “sua” democrazia se continuerà ad inciampare sugli ostacoli del controllo che il mondo vuole esercitare su di esso, e che non sono solo quelli militari e politici, ma anche quelli dei giudizi culturali e sociali di chi, malgrado le belle parole, sembra sentirsi superiore.

By Baghdadhope