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31 ottobre 2006

Vescovi Usa chiedono “specifiche misure” in difesa dei cristiani iracheni

Fonte: Asia News

In una lettera al segretario di stato Condoleezza Rice, si evidenziano “i crescenti e deliberati attacchi” contro i cristiani, che rappresentano il 40% dei rifugiati, pur essendo solo il 4% della popolazione. Suggeriti la creazione di una nuova regione amministrativa intorno a Ninive ed accordi con le autorità curde.

Washington (AsiaNews/Agenzie) – I vescovi cattolici statunitensi chiedono “specifiche misure” a favore dei cristiani iracheni e delle altre minoranza religiose. Il “rapido deterioramento” della loro situazione suscita infatti “profonda preoccupazione” e “crescente allarme”. E’ quanto si legge in una lettera che mons. Thomas G. Wenski, presidente del Comitato per la politica internazionale ha inviato al segretario di Stato Condoleezza Rice.
Nel documento di rileva in particolare che in Iraq la popolazione cristiana che prima dela guerra contava 1 milione e 200mila persone, ora è scesa a 600mila e che, secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, il 40% dei profughi provenienti dall’Iraq sono cristiani, anche se essi rappresentano solo il 4% della popolazione. “I crescenti e deliberati attacchi contro i cristiani – si legge nella lettera – sono un segno nefasto del collasso nella società irachena dell’ordine civile e del rispetto inter-religioso e rappresenta una grave violazione dei diritti umani e della libertà religiosa”. In proposito, mons. Wenski cita alcuni casi, come quello del sacerdote siriano decapitato a Mosul, i rapimenti e le violenza contro donne e ragazze.
“La vulnerabilità dei cristiani e delle altre minoranze religiose è una drammatica evidenza della seria e crescente sfida della sicurezza che colpisce l’intera nazione irachena”. Per migliorare la loro particolare situazione, la lettera chiede al governo americano di considerare la possibilità di creare una nuova “regione amministrativa” intorno a Ninive, direttamente collegata al governo centrale di Baghdad che “potrebbe offrire maggiore sicurezza ed offrire maggiori opportunità di controllare le loro attività”. E dal momento che numerosi cristiani si stanno rifugiando nelle regioni settentrionali del Paese, il documento suggerisce anche una collaborazione tra il governo Usa e le autorità curde per assicurare la sicurezza dei cristiani in tali aree.
La lettera ritiene poi, “necessaria una urgente revisione dei programmi di aiuto per la ricostruzione economica, per rendere certi che gli aiuti siano distribuiti equamente, in modo che tutte le componenti della società irachena siano in grado di ricostruire la loro comunità”.
Mons. Wenski conclude con la richiesta al governo americano di adottare una politica “più generosa” verso i rifugiati e coloro che chiedono asilo.

29 ottobre 2006

C'è un limite alla crudeltà umana? Non a Baghdad!

C'è un ragazzo, a Baghdad, che deve la vita ad un miracolo, per essere precisi ad un miracolo che ha la forma di un bicchiere d'acqua. Oggi pomeriggio, nella parte nord della città, in una strada che passa davanti ad una chiesa, c'è stato un rapimento. O almeno così sembrava.
Alcuni uomini a bordo di una grossa auto giapponese, verso le quattro, hanno tagliato la strada ad un'altra auto fermandola, ed hanno rapito il suo guidatore.
La polizia irachena, subito avvertita, una volta arrivata ha provveduto, con l'aiuto degli abitanti della zona, e tra essi il ragazzo in questione, a spostare l'auto verso una strada laterale spingendola. Una volta sistemata l'auto i poliziotti hanno chiesto al ragazzo di portar loro un pò d'acqua e lui è entrato in chiesa per prenderla. Proprio mentre stava riempiendo una bottiglia però S. ha sentito l'esplosione scuotere l'edificio e frantumare i vetri: l'auto del rapito era esplosa, e quattro o cinque poliziotti, le testimonianze su questo non concordano, sono morti mentre brandelli dei loro corpi sono stati ritrovati nel cortile della chiesa.
Era un falso rapimento. Una trappola studiata per attirare ed uccidere quante più persone possibile. Un ennesimo episodio della follia che pervade Baghdad dove la crudeltà umana ha ormai superato ogni limite.
Una crudeltà che prevede che quando un corpo viene ritrovato per strada sia prudente, prima di muoverlo, sparargli per controllare che non sia stato imbottito di esplosivo.
Una crudeltà che costringe F. una studentessa universitaria cristiana a lasciare la sua città per trasferirsi nel nord del paese presso dei parenti per continuare a studiare, ma soprattutto per avere maggiori possibilità di sopravvivere, perchè è questo che fanno gli iracheni: sopravvivono, non vivono!
Buona fortuna F.!

24 ottobre 2006

Il miglior digiuno è quello dal sangue di tuo fratello!

La foto qui a fianco è stata postata in rete da Fatima, una blogger irachena che così la spiega:
"Ho visto questo striscione in un paio di posti nel distretto di Dakhiliya. In onore del Ramadan e della situazione vi si legge: Il miglior digiuno è quello dal sangue di tuo fratello" Intendendo con esso che il miglior modo di digiunare per il Ramadan è astenersi dallo spargere sangue.
"La tradizione" continua Fatima "ci ha insegnato che digiunare per il sacro mese di Ramadan vuol dire astenersi dal cibo, dal bere e dai rapporti sessuali dall'alba al tramonto.
Qui in Iraq è stata stabilita una nuova regola."

23 ottobre 2006

Milizie irachene stanno conducendo una campagna di pulizia etnica contro i cristiani di Baghdad

Una dozzina di luoghi di incontro e di culto cristiani, inclusi un seminario, un monastero, molte case religiose ed almeno cinque chiese, sono state chiuse nel distretto di Dora, a Baghdad, conosciuto come “Il Vaticano dell’Iraq.”
Circa 900 famiglie cristiane vivevano in quel quartiere, ma i due terzi di esse sono state costrette a lasciarlo a causa del controllo imposto dai militanti sunniti che stanno conducendo una campagna di pulizia etnica secondo criteri religiosi.
Tra i luoghi ormai chiusi a Dora c’è il Babel College, l’unica università teologica in Iraq, frequentata da sacerdoti, religiosi e laici.
L’inasprimento della violenza e dell’estremismo in Iraq, che sta trascinando i militanti sunniti e sciiti nella guerra civile, ha aumentato la preoccupazione per la sopravvivenza dei gruppi religiosi minoritari che sono presi in mezzo.
La cattura di due sacerdoti caldei nel distretto di Dora, Padre Saad Sirop Hanna, della chiesa di Saint Jacob e Padre Basil Yaldo, il rettore del seminario di Saint Peter, ha terrorizzato i cristiani iracheni.
“Per molti di noi” dice Padre Bashar Warda “questi due eventi hanno rappresentato il segno che era arrivato il momento di abbandonare la zona.”
La città è ormai in preda alla cieca violenza, aggiunge. “Fuori dagli ospedali ci sono madri che urlano e piangono disperate. Alcune persone dubitano dell’esistenza del diavolo ma quando si entra in quegli ospedali si capisce che il diavolo esiste davvero.”
Eppure, quasi ad offrire un barlume di speranza Padre Warda parla della sua parrocchia nella parte orientale di Baghdad dove è stata aperta una scuola elementare aperta a bambini di tutte le fedi che vivono in armonia sotto lo stesso tetto. Una scuola, la “Tenda di Maria” la cui costruzione è stata parzialmente finanziata da Aiuto alla Chiesa che Soffre e dove il 70 per cento dei 380 bambini che la frequentano sono musulmani. “Dato che i musulmani si fidano delle nostre istituzioni educative e mediche” continua Padre Warda “è necessario preservarle. E’ l’unica speranza perché l’Iraq un giorno possa risollevarsi da questa terribile situazione.”
John Pontifex
www.totalcatholic.com

Tradotto da Baghdadhope

Stranezze irachene

29 rappresentanti musulmani iracheni hanno firmato ieri alla Mecca un documento con il quale si impegnano a fermare le violenze settarie che insanguinano l'Iraq. Il documento, pubblicato per intero dal sito ufficiale dell'Organization of the Islamic Conference (http://www.oic-oci.org) che ha organizzato l'incontro, presenta degli interessanti spunti di riflessione.
Il primo è che esso si focalizza sulla necessità di fermare le violenze che causano lo spargimento di sangue tra musulmani, e che in nessuno dei suoi dieci punti si fa riferimento al risparmio di quello dei "non musulmani," peraltro solo così genericamente indicati, senza concedere loro neanche l'onore di essere citati per nome. (cristiani, yezidi, mandei)
Vero è che protagonisti attivi di quelle violenze non sono le minoranze non musulmane che, anzi, ne sono vittime passive, ma vero è anche che un qualsiasi percorso verso la riconciliazione dovrebbe tener conto anche di loro, mentre gli unici riferimenti sono l'invito al rispetto di "tutti" i luoghi di culto (art. 3) e quello a rilasciare "tutti" i prigionieri. (art. 7)
Il secondo spunto è che tra le 29 firme in calce al documento (peraltro pubblicate nella versione araba ma non in quella inglese) mancano quelle sciite del Grand Hayatollah Ali Al Sistani e di Muqtada Al sadr, che si sono limitati ad esprimere la loro approvazione. Due firme "pesanti" nel panorama politico religioso iracheno, la cui mancanza rende il "Documento della Mecca" meno incisivo se è è vero che: "scripta manent..."

Ma cosa c'entra il documento della Mecca con le stranezze irachene?
Domani termina il sacro mese di Ramadan per i fedeli musulmani sunniti, dopodomani, a causa di una diversa tradizione, terminerà quello per i musulmani sciiti. Nell'Iraq del tutti contro tutti però il calendario è diverso: domani i sunniti, dopodomani gli sciiti seguaci di Muqtada Al Sadr, tra tre giorni quelli di Ali Al Sistani.
Se la differenza tra sunniti e sciiti è legata alla tradizione e di conseguenza giustificata, quella tra gli sciiti trova ragione invece nella contrapposizione tra i due leaders che in tal modo ribadiscono ciò che, a dispetto delle roboanti dichiarazioni a favore della riconciliazione, è chiaro a tutti: anche all'interno della stessa confessione la lotta è senza esclusione di colpi, che siano essi veri o, come in questo caso, simbolici.

Conclusione
Se i due principali attori della scena sciita irachena "non" firmano il documento della Mecca, e "non" sono d'accordo neanche sulla data di termine del Ramadan, sarà davvero possibile fermare le stragi in Iraq?
Le premesse, ammettiamole, non sono buone!

Nominato Vescovo Caldeo per l'Australia e la Nuova Zelanda

Monsignor Jibrail Kassab
Foto: Baghdadhope
Monsignor Jibrail Kassab è stato nominato oggi Vescovo Caldeo per la prima eparchia dell'Australia e della Nuova Zelanda che ha il titolo di "San Tommaso Apostolo di Sidney dei Caldei."
Monsignor Kassab, nato a Telkeif, nel nord dell'Iraq nel 1938, ordinato sacerdote nel 1961, e dal 1996 vescovo di Bassora.
Fino a qualche anno fa Bassora contava circa 1000 famiglie caldee ora ridottesi, come dichiarato dallo stesso Monsignor Kassab, a non più di 200, anche se altre stime non ufficiali parlano di un numero di molto minore.

22 ottobre 2006

Il Papa fa gli auguri ai musulmani e pensa all'Iraq

Le Parole di Papa Benedetto XVI sulla situazione in Iraq dopo l'Angelus


Sono lieto di inviare un cordiale saluto ai musulmani del mondo intero che, in questi giorni, celebrano la conclusione del mese di digiuno del Ramadan. A tutti rivolgo l'augurio di serenità e di pace!

Contrastano drammaticamente con questo clima gioioso le notizie che provengono dall’Iraq sulla gravissima situazione di insicurezza e sulle efferate violenze a cui sono esposti moltissimi innocenti solo perché sciiti, sunniti o cristiani.

Percepisco la viva preoccupazione che attraversa la comunità cristiana e desidero assicurare che sono vicino ad essa, come pure a tutte le vittime, e per tutti chiedo forza e consolazione. Vi invito, inoltre, ad unirvi alla mia supplica all’Onnipotente affinché doni la fede e il coraggio necessari ai responsabili religiosi e ai leaders politici, locali e del mondo intero, per sostenere quel popolo sulla strada della ricostruzione della Patria, nella ricerca di equilibri condivisi, nel rispetto reciproco, nella consapevolezza che la molteplicità delle sue componenti è parte integrante della sua ricchezza.

18 ottobre 2006

Il mondo ha dimenticato i cristiani iracheni

Fonti: Asia News
Sumaria Tv
Osservatorio Iraq
Organization of the Islamic Conference

Le ingerenze esterne in Iraq, così come in Siria ed in Libano, paesi che per più di quattordici secoli sono stati modelli di coesistenza islamo-cristiana, e l’apparente indifferenza della comunità internazionale, stanno mettendo in pericolo l’esistenza dei cristiani in Medio Oriente. Il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Emmanuel III Delly, in questi giorni a Beirut per l’annuale riunione dei Patriarchi delle Chiese Orientali, ha così dichiarato ad ASIA NEWS, criticando anche la non capacità della comunità internazionale di porre fine alla drammatica situazione irachena, ed appellandosi a che tutti gli uomini di buona volontà sostengano la piccola comunità cristiana mediorentale.
Mar Delly ha affrontato il problema della costante riduzione della comunità cristiana irachena che soffre per la guerra fratricida che da anni insanguina il paese, e la cui sparizione sarebbe una perdita non solo per l’Iraq, ma per la causa dell’uomo e per gli stessi musulmani. Per questa ragione, ha aggiunto il Patriarca, la presenza dei cristiani sarà difesa nella terra di Abramo malgrado i pericoli in cui vive. A questo proposito, e come esempio, egli ha ricordato la figura di Padre Paul Iskandar, sacerdote siro ortodosso ucciso a Mosul dai suoi rapitori una settimana fa, un sacerdote che aveva rifiutato di lasciare i suoi fedeli malgrado le minacce ricevute. http://baghdadhope.blogspot.com/2006/10/celebrati-mosul-i-funerali-di-padre.html
In un’intervista esclusiva rilasciata oggi al network satellitare iracheno Al Sumaria
http://www.alsumaria.tv/SumariaTV/default_english.aspx?page=newsdetails&news_id=1201 Mar Delly ha poi chiesto a tutti gli iracheni di essere tolleranti, ha attribuito il massiccio fenomeno migratorio che sta investendo la gioventù del paese alla situazione di insicurezza diffusa, ed ha invitato il governo a migliorarla ed i rappresentanti religiosi del paese riuniti alla Mecca a diffondere il messaggio dell’amore. Il riferimento è alla riunione che si terrà domani e dopodomani alla Mecca tra esponenti religiosi sunniti e sciiti iracheni alla ricerca di una soluzione per fermare le stragi quotidiane. La riunione, organizzata dalla OIC (Organization of Islamic Conferences) intende, così ha dichiarato Ekmeleddin Ihsanoglu, Segretario Generale dell’OIC, fermare i disordini in Iraq ed il conseguente spargimento di sangue musulmano. Ad un giorno dall’inizio della riunione, però, i nomi dei partecipanti iracheni sono ancora incerti a parte due rappresentanti del WAQF, (organismo che gestisce i luoghi di culto e le donazioni) il sunnita Mahmud Samadaii e lo sciita Sadreddine Qobbanj, appartenente allo SCIRI (Supreme Council for Islamic Revolution in Iraq) http://www.osservatorioiraq.it/modules/wfsection/article.php?articleid=3175
Emmanuel III Delly partecipa, con Monsignor Michel Kassarji, Vescovo caldeo del Libano e Monsignor Philippe Najim, esarca caldeo in Europa, all'annuale riunione dei Patriarchi delle Chiese dell'Est. La riunione si è aperta ieri nella sede del patriarcato armeno-cattolico sul Monte Libano, e si concluderà venerdì prossimo vedendo l’attiva partecipazione di ben sette patriarchi cattolici delle Chiese d’Oriente:

Narsis Bedros XIX, Patriarca armeno-cattolico
Narsallah Sfeir, Patriarca maronita
Gregorio III Lahham, Patriarca greco-melkita
Antonios Nagib, Patriarca copto
Boutros VIII Abdel Ahad, Patriarca siro-cattolico
Michel Sabbah, Patriarca latino
Emmanuel III Delly, Patriarca caldeo

che discuteranno del tema “La chiesa e la terra.” Ad introdurre il tema è stato il Nunzio Apostolico in Libano, Monsignor Luigi Gatti, che ha sottolineato l’importanza della presenza cristiana in Medio Oriente, garanzia dei valori di indipendenza, pluralismo, equilibrio confessionale e rispetto dei diritti umani, e da perseguire attraverso il dialogo come mezzo per combattere la paura, l’angoscia e l’abbandono. Guerre e crisi sociali sono state indicate come ragioni storiche dell’emigrazione dei cristiani mediorientali dal Patriarca armeno-cattolico Narsis Bedros XIX nella sua prolusione, ragione alle quali, però, bisogna aggiungere l’atteggiamento di alcuni paesi arabi che trattano i propri concittadini cristiani come “cittadini di serie B” facendoli sentire stranieri in patria a causa della mancanza di fiducia nei loro confronti generata dal considerarli meno arabi dei loro connazionali e legati, per religione, all’Occidente, ed a causa delle persecuzioni per mano di gruppi fondamentalisti.
http://www.asianews.it/view.php?l=it&art=7511

13 ottobre 2006

La chiesa irachena unita per i funerali di Padre Paul Iskandar

La chiesa irachena ha dimostrato unità in occasione del funerale di Padre Paul Iskandar celebrato nella chiesa di Mar Ephrem a Mosul. Oltre al vescovo siro ortodosso di Mosul, Mor Gregorious Saliba Shamoun, ed all'Arcivescovo Emerito Mor Ishaq Saka, erano infatti presenti, ed hanno impartito la benedizione al sacerdote ucciso, Monsignor Paulus Faraji Rahho, vescovo cattolico caldeo di Mosul e Monsignor Georges Qas Musa, vescovo siro cattolico della stessa città che fu, nel gennaio 2005, il primo prelato sequestrato in Iraq. http://www.korazym.org/news1.asp?Id=11270
La presenza dei rappresentanti cattolici riavvicina le chiese irachene cattoliche ed ortodosse ultimamente schieratesi su posizioni opposte per quanto riguarda le parole pronunciate da Benedetto XVI in occasione del discorso di Ratisbona, (http://baghdadhope.blogspot.com/2006/09/papa-una-necessit-vitale-il-dialogo.html) ed interpretate come offensive da una parte del mondo musulmano

Condanne dell'assassinio del sacerdote di Mosul da parte dei cristiani e dei sunniti


Fonte: Repubblica
Foto: Ankawa.com

Il cardinale Shlemon Warduny, vice patriarca della chiesa caldea, condannando l'assassinio di padre Iskander ha riferito che i sequestratori "avevano negoziato con la Chiesa, ma hanno chiesto un riscatto troppo alto che non è stato possibile raccogliere in tempo. Per questo lo hanno decapitato".
Il Consiglio degli ulema, maggiore organizzazione religiosa sunnita in Iraq, ha condannato "l'uccisione vigliacca" di padre Iskander. In un comunicato, gli ulema affermano che il religioso ortodosso "era noto per le sue posizioni nazionaliste e contro l'occupazione" e sostengono anche che "la sua comunità aveva una posizione opposta alle dichiarazioni del Papa del Vaticano sull'Islam e il suo generoso Profeta Maometto". "Il Consiglio degli ulema - si legge nel testo - condanna questa uccisione vigliacca e non dimentica coloro che sono dietro questo crimine commesso da chi opera per privare il Paese di qualsiasi simbolo religioso e nazionale che può tenere unito l'Iraq, cercando di innescare un conflitto religioso tra i figli della stessa Nazione".

12 ottobre 2006

Celebrati a Mosul i funerali di Padre Paul Iskandar

Foto: Ankawa.com


Più di 500 persone a Mosul hanno sfidato la paura che ormai attanaglia la comunità cristiana irachena per partecipare ai funerali di Padre Paul Aziz Iskandar il cui corpo decapitato e mutilato è stato ritrovato ieri a due giorni dal sequestro.
Alcuni familiari del sacerdote, dietro anonimato per timore di rappresaglie, hanno confermato la richiesta di riscatto fatta dai rapitori, e che essi avevano chiesto l'esplicita condanna da parte della chiesa Siro Ortodossa delle parole pronunciate da Benedetto XVI lo scorso 12 settembre a Ratisbona
E' da sottolineare che le chiese siro ortodosse irachene avevano esposto dei cartelli di condanna delle parole del Papa e per il ripristino dei buoni rapporti tra cristiani e musulmani già prima del rapimento di Padre Iskandar, ma a quanto pare non è bastato.
D'altra parte anche la chiesa sede del patriarcato dell'Antica Chiesa dell'Est attaccata a Baghdad il 25 settembre scorso aveva esposto cartelli analoghi che ribadivano inoltre la non appartenenza della chiesa a Roma, ed il suo avere come massima autorità il Patriarca Mar Addai II e non il Pontefice. Questi due episodi sembrerebbero quindi dimostrare che la violenza che ha investito la comunità cristiana irachena non sia di fatto legata al disconoscimento delle parole del Papa, ma sia parte di un piano più vasto che mira, come ha affermato il Vescovo Caldeo di Kirkuk, Monsignor Luis Sako a "buttare fuori i cristiani dall'Iraq."
Se così non fosse Padre Iskandar non sarebbe stato ucciso e come lui neanche le vittime dell'attentato di Baghdad.

11 ottobre 2006

Ucciso il sacerdote siro ortodosso rapito a Mosul

Il corpo decapitato e straziato di Padre Paul Aziz Iskandar, il sacerdote siro ortodosso rapito a Mosul due giorni fa è stato ritrovato oggi. Per adesso nessuna dichiarazione ufficiale è pervenuta dal vescovo siro-ortodosso Gregorios Saliba Shamoun cui era arrivata un'ingente richiesta di riscatto. La cerimonia funebre si terrà domani mattina a Mosul.

Leader della minoranza religiosa mandea ucciso in Iraq

Nel villaggio di Suweira, 65 Km a sud-est di Baghdad, lungo la valle del Tigri è stato ucciso da mano sconosciuta lo Sheikh Raad Mutar Saleh, alto rappresentante della ormai minuscola comunità mandea in Iraq.

MANDEI O “CRISTIANI DI SAN GIOVANNI”
Sono una setta di origine gnostica presente in alcune migliaia (fra 10.000 e 20.000), che vivono alla confluenza del Tigri e dell'Eufrate, tra l'Iraq e l'Iran. Il loro nome deriva dalla parola Manda (conoscenza o gnosi). Sono detti anche “Cristiani di San Giovanni” per una controversa adesione al Cristianesimo dei primi secoli: ma secondo altri studiosi risalgono a una gnosi precristiana, condita da un certo sincretismo tra elementi cristiani, giudei e manichei.
È invece storicamente accertato che con l'arrivo dei musulmani in Mesopotamia nel VII sec., i Mandei furono rispettati, in quanto identificati come i misteriosi “Sabei”, citati dal Corano. Ma poi, per poter sopravvivere, dovettero emigrare nella zona paludosa della Mesopotamia meridionale, dove vivono ancora oggi.
I Mandei credono in una dottrina dualistica: la contrapposizione, cioè, tra un Dio supremo del mondo del Bene e della Luce, circondato da angeli; e il mondo delle Male e delle tenebre, abitato da demoni, tra i quali spicca Ruha, lo spirito malvagio.
Dell'ambiente giudeo-cristiano, i Mandei hanno adottato la figura di Adamo, la celebrazione della Domenica, ma soprattutto figura storica di Giovanni Battista. Praticano infatti una sorta di rito battesimale che effettuano nelle acque del fiume Tigri o di altri fiumi della zona, per tripla immersione, che serve a purificare l’adepto e a entrare in contatto con il mondo della Luce.

Da: Dossier Fides. l'Iraq delle religioni.



Altri articoli sui Mandei, la storia, il credo, la cultura e la situazione attuale.
I Mandei: una minoranza religiosa in Medio Oriente, in Associazione per i popoli minacciati.
I Mandei, in politicaonline.net

10 ottobre 2006

Rapito sacerdote siro ortodosso in Iraq


Fonte e foto: Ankawa.com

Ieri mattina, Padre Paul Aziz Iskandar, della chiesa siro-ortodossa di Mar Efrem a Mosul è stato rapito da un gruppo di uomini armati.
Non ci sono ancora notizie del sacerdote per il quale si esprime viva preoccupazione viste le sue non buone condizioni di salute.

8 ottobre 2006

Tra vent'anni non ci saranno più cristiani in Iraq

The Guardian

Tra vent’anni non ci saranno più cristiani in Iraq. A tre anni dall’invasione dell’Iraq si pensa che metà dei cristiani abbia lasciato il paese, fuggendo dalle bombe, dagli omicidi e dalle minacce di morte. Perché le forze della coalizione non hanno fatto di più per proteggerli?...

Ci sono voluti tre morti nella sua famiglia prima che Shamon Isaac si decidesse a lasciare Baghdad. Il primo è stato suo genero, Raid Khalil, ucciso a colpi di arma da fuoco nel gennaio del 2005 mentre cercava di sfuggire agli uomini armati che avevano cercato di caricarlo a forza insieme a suo padre in un minibus. Come molti cristiani Khalil aveva ricevuto una minaccia di morte firmata Esercito Islamico in Iraq. Raid ha lasciato la moglie ed una bimba di quasi due anni.
Quattro settimane più tardi il fratello di Isaac è stato fermato ad un posto di blocco da sette uomini che indossavano l’uniforme dell’esercito iracheno mentre stava andando a ritirare i passaporti che avrebbero permesso a lui ed alla sua famiglia di lasciare il paese. “I vicini hanno cominciato ad urlare a sua figlia che il padre era stato ucciso” dice Isaac “lei è uscita ed ha trovato il suo corpo per strada.” In agosto poi è stata la volta del cognato di Isaac, ucciso nel suo negozio da tre uomini che gli hanno sparato.
La famiglia di Isaac non aveva scelta. Quando in gennaio alcuni uomini armati avevano iniziato a sparare in area da alcune macchine attorno alla sua casa di Dora, si era trasferita in un altro quartiere di Baghdad, Al-Jediya. Ma era l’epoca delle grandi manifestazioni del mondo musulmano contro le vignette pubblicate in Danimarca ed il 29 del mese delle bombe colpirono sette chiese a Baghdad, Mosul e Kirkuk, uccidendo 16 persone. Un giorno poi un uomo entrò nel negozietto che la famiglia di Isaac aveva aperto vicino alla nuova casa, comprò delle sigarette ed uscì, ma solo dopo aver lasciato una lettera sul bancone, una lettera su cui era scritta una sola parola: “sangue.”
I meccanismi del terrore si sono radicati in tutte le comunità irachene, sunnita e sciita, araba e curda, ma nonostante i cristiani siano meno del 4% della popolazione – meno di un milione di persone - nei primi quattro mesi del 2006 essi costituivano il gruppo più numeroso di rifugiati arrivati ad Amman, in Giordania, secondo un rapporto non reso pubblico dall’UNHCR, l’Alto Commissariato per i Rifugiato delle Nazioni Unite. In Siria che confina per più territorio con l’Iraq, il 44% dei richiedenti asilo è cristiano, secondo le fonti dell’UNHCR che ha iniziato a registrare i rifugiati nel dicembre del 2003, e che ha registrato un picco delle nuove domande all’inizio del 2006. Fuggendo gli omicidi, i rapimenti e le minacce di morte essi lasciano Baghdad, la zona di Bassura controllata dagli inglesi ed anche, in modo sproporzionato, Mosul, nel nord del paese. Il Vescovo Cattolico di Baghdad, Andraous Abouna, ha recentemente affermato che metà dei cristiani iracheni ha lasciato il paese da dopo l’invasione guidata dagli stati Uniti.
L’esodo dei cristiani iracheni però è passato sotto silenzio a dispetto del fatto che sia George Bush sia Tony Blair abbiano parlato di come la propria fede cristiana abbia condizionato le proprie scelte politiche riguardo l’Iraq. In uno dei suoi primi discorsi dopo l’11 settembre il presidente americano aveva descritto la lotta contro il terrorismo come una “crociata”, una caratterizzazione che aveva saggiamente evitato di ripetere ma che è abitualmente ripresa dai critici della politica estera americana, inclusa Al Qaeda, ed altri gruppi di insorti in Iraq. Molti cristiani sono stati accusati di essere uguali alle forze multinazionali o di aiutare l’Occidente. I capi cristiani iracheni sono amareggiati per il poco che l’Occidente ha fatto per proteggerli.
Quando la famiglia di Isaac – 12 persone in tutto - ha lasciato Baghdad si è trasferita nella terra madre della cristianità irachena, le pianure di Ninive. Io l’ho incontrata tre settimane dopo il suo arrivo, stipata in una camera a Bartellah, appena fuori Mosul, nella parte della fertile pianura lungo le rive del Tigri dove quasi ogni villaggio ha la sua chiesa, ed ogni chiesa ha una guardia armata. Le pianure sono uno dei luoghi abitati in modo continuativo da più tempo nel mondo. Fu per salvare Ninive che il Dio biblico restituì Giona alla vita dal ventre della balena, ed i cristiani assiri qui parlano ancora il Siriaco, un dialetto dell’aramaico, la lingua che Gesù parlava con i suoi apostoli.
Ma il ruolo di Ninive nell’eredità cristiana conta poco oggi se paragonato al suo valore strategico nella partita geo-etnica del conflitto iracheno. Situata tra il Kurdistan iracheno e le roccaforti della ribellione ad ovest di Mosul, le Pianure di Ninive sono di vitale importanza per la sicurezza di ambo le zone, così come per le ambizioni territoriali dei curdi e degli arabi sunniti. Viaggiando in Iraq come parte di una missione sui diritti umani coordinata dal Minority Rights Group International, in associazione con la Assistance Mission for Iraq delle Nazioni Unite (UNAMI) ho appreso che nessun operatore umanitario aveva potuto operare nell’area dal maggio del 2004 quando 4 americani appartenenti ad una associazione di aiuto battista erano stati uccisi in un’imboscata sulla strada tra Mosul ed Erbil.
A Mosul i gruppi baathisti e di estremisti islamici hanno radici profonde che permettono loro di controllare interi quartieri e, periodicamente, le forze di polizia locali. “Hanno fermato una studentessa cristiana dell’università, l’hanno portata via e le hanno tagliato la testa” mi ha detto una dirigente di un’associazione a sostegno delle donne, arrossendo al solo rievocare le immagini. “Hanno detto che qualsiasi donna che si presenterà all’università senza il velo sul capo – l’hijab – sarà uccisa.”
“La situazione di insicurezza riguarda tutte le comunità della città” mi ha spiegato il Dr. Yousef Lalo, assistente del governatore di Mosul, “ma come minoranza i cristiani sono particolarmente vulnerabili: sono spesso più ricchi degli appartenenti alle altre comunità così sono nel mirino di chi cerca denaro.” Ex insegnante di psicologia, Lalo è circondato non più da studenti ma da guardie del corpo che testimoniano il suo essere l’unico cristiano rimasto nell’apparato amministrativo della città.
“Molte chiese sono state bombardate nel 2004 e nel 2005 ma le forz multinazionali e l’esercito iracheno non hanno trovato i responsabili ed a dire il vero non hanno neanche indagato sugli episodi. Così la situazione è peggiorata e la gente non è andata in chiesa neanche a Natale o Pasqua. Ora sono i cristiani a proteggere le chiese.”
Lalo non può fornir il numero esatto di quanti cristiani hanno lasciato Mosul ma parla di “migliaia” che sono emigrarti in Giordania, Siria e Turchia. “Metà dei cristiani di Mosul sono andati via dal 2003 ed il resto progetta di farlo una volta che ne avrà a possibilità. Molti membri della mia famiglia sono emigrati in Australia ed in Svezia e sono diventati rifugiati.”
Eppure questo professore dai modi gentili rimane per lottare: “Questa è la mia terra, la terra di mio padre e di mio nonno, e non me ne andrò. Ho anche proibito ai miei tre figli di lasciare il paese.”
La mattina che lo ho incontrato Lalo aveva avuto il suo primo incontro con il comandante della forza multinazionale di Mosul e Ninive Est, il Colonnello Michael Shields, sebbene “incontro” non sia il termine esatto per definire ciò che era iniziato con le parole “Chi è il capo, qui? Dov’è il capo?” pronunciate dal comandante di quattro soldati americani in pieno assetto di guerra arrivati alla porta non annunciati. Un incontro comunque che, una volta deposte le armi da parte degli americani, era proseguito in modo educato. Sapevo che Lalo era amareggiato per la nomina da parte americana di un sindaco musulmano in un’area a maggioranza cristiana e Shields mi disse che stava lavorando duramente per migliorare i contatti con gli amministratori locali: “La provincia di Ninive è un’area sensibile alla questione etnica, se il governatore mostra favoritismi è un problema.” Lalo aveva replicato bruscamente che i predecessori di Shields erano stati un “male per i cristiani” ma il colonnello aveva risposto che quella era “acqua passata.”
L’ultima speranza per i cristiani in Iraq potrebbe essere, secondo Lalo, Sarkhis Aghajan, ministro delle finanze del governo regionale curdo e, fino allo scorso maggio, vice primo ministro del governo curdo, colui che ha inviato denaro a Ninive per pagare le guardie di protezione armate.
Nella sua suntuosa residenza ad Ankawa, una cittadina cristiana nel Kurdistan iracheno, Aghajan mi ha parlato della sua comunità sedendo tra un quadro della crocifissione ed una statua di un’aquila. “Come cristiani” mi ha detto in siriaco “consideriamo Ninive come la nostra regione. Nei secoli la nostra gente è stata costretta a partire ed a vivere altrove.” Questo include coloro che sono fuggiti dalla campagna di “arabizzazione” delle aree curde e cristiane del nord Iraq da parte di Saddam Hussein, quando la terra fu ridistribuite per forza ai coloni arabi. Ma ora, mi spiega Aghajan, circa 3500 famiglie sono arrivate da Mosul e Baghdad per stabilirsi nelle pianure di Ninive.
“Più di 30 villaggi cristiani sono stati recuperati, ma la gente non tornerà fino a quando non sentirà che i propri diritti nazionali non saranno garantiti. Prima ogni giorno qualcuno veniva rapito. Noi abbiamo aumentato il numero delle guardie armate ed ora sono migliaia. Non minacciamo le altre comunità, ma i curdi difendono i curdi, gli arabi gli arabi e noi difendiamo noi stessi.”
Ma le ambizioni di Aghajan sono maggiori. Egli è convinto che l’unico modo per assicurare protezione a lungo termine sia una regione autonoma, un rifugio sicuro, da creare per i cristiani di Ninive, così come per le altre comunità minoritarie come gli Yezidi e gli Shabak. “Questa regione speciale aiuterebbe i cristiani a mantenere la propria storia in questi luoghi, ed i curdi e gli arabi non potrebbero intervenire. Questo incoraggerebbe i cristiani che vivono all’estro a tornare, e sarebbe un esempio per tutto il Medio Oriente.”
Aghajan è anche certo che questa regione autonoma dovrebbe far parte di un più esteso Kurdistan, cosa che ha permesso ad alcuni politici di accusarlo di essere al servizio del governo curdo. Uno di essi, che teme il controllo curdo quanto il ritorno dei baathisti, lo descrive come “il servo cristiano del primo ministro Barzani.” Ma Aghajan insiste che le pianure di Ninive otterrebbero “ciò che è giusto” dall’amministrazione curda piuttosto che dal governo centrale. Egli, pur lodando la leadership di Barzani, sa che molti cristiani stanno già esprimendo il loro pensiero tornando nel relativamente tranquillo Kurdistan.
Aghajan prosegue descrivendo come la sua gente sia stata tradita. “Sarebbe stato facile per gli americani e gli inglesi aiutarci quando le chiese sono state attaccate – era un’opportunità storica – ma non hanno fato nulla. Se ci avessero aiutato finanziariamente, ad esempio, avremmo potuto proteggere tutte le famiglie cristiane di Mosul.”
Rispondendo alla domanda se pensava che gli americani avessero forse evitato di aiutare i cristiani temendo di essere considerati di parte o anti-islamici Aghajan agita le mani con gesto impaziente. “Non era necessario farlo pubblicamente, avrebbero potuto aiutarci attraverso il Governo Regionale Curdo o attraverso singoli individui. Ora i cristiani di Mosul sono costretti a cambiare la propria religione, a finanziare il jihad. Se ascolta la storia di questa gente capirà la tragedia, e non sto parlando di una o due famiglie, e neanche di migliaia, sto parlando di una nazione.”
“Se i nostri amici non ci aiutano ora, la loro amicizia non avrà valore nel futuro. Se continua così Baghdad e Mosul non avranno più cristiani.”
Mentre Aghajan parlava mi venivano in mente le parole pronunciate da Bush più di tre anni fa sul ponte della nave americana Abraham Lincoln, quando annunciò “la fine delle maggiori operazioni di guerra in Iraq.” Il presidente ama citare la Bibbia nei suoi discorsi e terminò quello con un incitante messaggio del profeta Isaia “…ai prigionieri: "Uscite",e a quelli che sono nelle tenebre: "Mostratevi!”
A maggio è stato approvato il primo governo non transitorio dalla caduta di Saddam Hussein, e Wijdan Mikha'il, membro della lista laica Iraqi National List, è stata nominata ministro per i diritti umani – un compito difficile, mi ha detto tristemente, in un paese in cui “la gente non ha diritti.” Mikha'il è cristiana, l’unica, nel governo. Quando è stata nominata ha trasferito la sua famiglia, inclusi i tre giovani figli, dalla spaziosa casa di Baghdad in un albergo dietro le protezioni di cemento della Zona Verde. Una sera a cena mi ha parlato del settarismo che ha avvelenato la società irachena.
“Mi sono sempre considerata per prima cosa un’irachena e poi una cristiana. Prima vivevamo insieme e non pensavamo mai a chi era sunnita, sciita o cristiano, ora è diverso.” Mikha'il ha discusso con il Consiglio per le Minoranze iracheno, un nuovo gruppo ombrello che sta spingendo per degli emendamenti alla costituzione che migliorino i diritti umani. Quando le ho chiesto quanti cristiani stavano lasciando il paese mi ha detto: “Il processo di emigrazione è iniziato prima della guerra ma ora è accelerato. Nelle scuole i bambini ora dicono che chi è cristiano è kaffir, diverso dai musulmani , e questo significa che può essere trattato in modo diverso. Tra vent’anni non ci saranno più cristiani in Iraq.”
Mentre mi parlava, due uomini e due donne, tutti vestiti di nero, entrarono nel ristorante dell’albergo e si sedettero in un angolo. Il ministro abbassò la voce: “Sono testimoni contro Saddam.” Il processo a Saddam Hussein era in corso in quei giorni, tra un aggiornamento ed un altro, e Mikha'il iniziò ad elencarmi alcune delle atrocità delle quali l’ex dittatore era accusato, inclusa l’Anfal, la campagna di genocidio dei curdi durante la quale anche molti cristiani furono uccisi.
Era peggio prima o è peggio ora dal punto di vista della comunità cristiana? La risposta di Mikha'il fu immediata: “E’ peggio ora e non solo per la mia comunità, ma per tutti gli iracheni. Naturalmente ciò che sta succedendo è stato parzialmente creato da Saddam. In un anno ci è successo ciò che sarebbe successo nel corso di 15 anni se Saddam fosse rimasto al potere: mancanza di sicurezza, crollo della società…” Dopo queste parole Mikha'il improvvisamente scoppiò a ridere, per la prima volta quella sera: “Forse è meglio arrivarci un in anno, così possiamo lavorare per migliorare le cose.”
L’avrei ritrovata in Iraq dopo vent’anni? Mikha'il esitò. “Non penso. Amo l’Iraq, ho avuto molte occasioni di partire ma sono rimasta. Eppure non voglio che i miei figli vivano qui.”

Tradotto da Baghdadhope

7 ottobre 2006

Una campagna di terrore contro la chiesa caldea in Iraq

Fonte AsiaNews
In due giorni a Mosul, due nuovi attacchi alla parrocchia del Santo Spirito; colpito anche il convento delle domenicane. Si tratta delle azioni più eclatanti di una vera e propria campagna che vuole i cristiani fuori dall’Iraq. Il dramma dell’emigrazione, un problema che riguarda anche sciiti e sunniti.
La chiesa caldea del Santo Spirito a Mosul sembra ormai obiettivo di una vera e propria campagna del terrore. Dopo gli attentati già subiti a fine settembre, il 4 e il 5 ottobre un gruppo di uomini ha sparato contro l’edificio religioso ferendo una delle guardie, al momento ricoverata in ospedale. Fonti di AsiaNews riferiscono che secondo i parrocchiani le violenze sono una coda delle proteste islamiche alla dibattuta lezione di Benedetto XVI in Germania. Ma i primi attacchi alla parrocchia del Santo Spirito risalgono già all’agosto 2004, diversi mesi prima cioè che il card. Ratzinger diventasse papa. La verità è che, come già hanno denunciato tramite AsiaNews personalità ecclesiastiche irachene, gli attentati sono parte di una doppia strategia: da una parte l’azione di forze intenzionate a destabilizzare e dividere il Paese, dall’altra quella del fanatismo islamico di “spingere i cristiani fuori dall’Iraq”. E così la persecuzione è attuata su due fronti: quello plateale fatto di bombe, sparatorie e messaggi video (nell’ultimo il capo di al-Qaeda in Iraq, Abu Hamza al-Muhajir, invitava per il Ramadan a “catturare alcuni cani cristiani”); e quello “nascosto” fatto di discriminazioni, continue minacce e rapimenti. Questi ultimi, sempre più frequenti, alimentano una vera e propria industria.

La persecuzione plateale

Auto bomba, colpi di artiglieria, ordigni artigianali sono gli strumenti più utilizzati nelle operazioni terroristiche, che hanno colpito finora obiettivi cristiani. Tra gli attacchi più recenti oltre quelli alla Santo Spirito (24, 26 settembre; 4 e 5 ottobre) anche quello al convento delle suore domenicane irachene a Mosul. Il 2 ottobre l’edificio è finito sotto una raffica di proiettili che non ha ferito nessuno. Il giardino del convento, però, è bruciato.
Nel più feroce attacco di quest’anno, domenica 29 gennaio, una serie di esplosioni coordinate nei pressi di chiese ed edifici cristiani a Kirkuk e Baghdad ha ucciso 3 persone e ferite 9. Le autobomba hanno colpito a Kirkuk la chiesa cattolica dedicata alla Vergine, nella capitale la chiesa cattolica di san Giuseppe e la chiesa anglicana nella zona di Nidhal. Anche allora si era visto negli attentati una reazione islamica alle vignette “offensive” su Maometto.
Sulle violenze contro le chiese irachene polizia e esercito nazionale non hanno mai condotto indagini adeguate o trovato i responsabili, denuncia la popolazione. Così le varie comunità si difendono da sole: ormai quasi ogni chiesa ha almeno una guardia, spesso giovani ragazzi volontari appostati davanti all’edificio per controllare l’arrivo di possibili attentatori, mentre all’interno si celebra messa.


La persecuzione nascosta
Un recente rapporto Onu denuncia che le minoranze religiose in Iraq “sono diventate le regolari vittime di discriminazioni e violenze, con atti che vanno dall’intimidazione all’assassinio”. Nel documento si sottolinea che “i membri della minoranza cristiana sono particolarmente bersagliati”. Questo perché più indifesi delle altre comunità, non avendo una forza politica interna o estera a difenderli. La persecuzione non è attuata solo con azioni forti e simboliche. Più volte dall’Iraq, fonti di AsiaNews hanno denunciato che “sul lavoro e nelle pratiche di amministrazione pubblica i cristiani vengono considerati cittadini di seconda classe: per ottenere un documento, ad esempio, si impiegano sempre tempi più lunghi di un musulmano”.
A Baghdad, funzionari cristiani del governo non escono di casa da mesi dopo aver ricevuto pesanti minacce. Paura regna anche a Basra, nel sud, come pure a Mosul, nel nord. Nel mirino di fondamentalisti anche le donne, minacciate o uccise quando non rispettano il codice d’abbigliamento islamico. Aumentano i rapimenti di laici e sacerdoti, i cui ingenti riscatti mettono in ginocchio famiglie e intere comunità. “I cristiani sono ritenuti più benestanti delle altre comunità – spiega Yousef Lalo, assistente del governatore di Mosul – così la gente cerca di estorcere loro più denaro possibile”. Gli stessi cristiani dicono, inoltre, di essere ormai abituati alle accuse, del tipo ‘crociati infedeli’, che “riecheggiano” nelle città.

Il dramma dell’emigrazione
Su una popolazione di 27 milioni di iracheni, i cristiani sono circa 800 mila (il 3%), suddivisi in vari riti e confessioni. Un censimento del 1987 stimava in 1,4 milioni di membri la comunità cristiana. Il calo è dovuto principalmente alla crescente emigrazione: dall’inizio della guerra in Iraq - marzo 2003 - sono partiti in circa 100 mila.
Molti si recano in Giordania: stando a stime dell’UNHCR, nei primi 4 mesi del 2006 i cristiani rappresentavano il più grande gruppo di nuovi rifugiati ad Amman. Sempre l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima che il 44% degli iracheni che cercano asilo in Siria sono cristiani. Forte è l’emigrazione anche verso Turchia, Svezia e Australia.
Massiccia è anche la migrazione interna verso il più pacifico Kurdistan. Qaraqosh, 67 km da Arbil, fino a poco fa contava circa 30 mila abitanti, più del 90% cattolici. Ora la popolazione tocca i 50 mila, in seguito all’arrivo di numerose famiglie arrivate da Baghdad e Mosul. Il problema rimane la sicurezza: Sarkis Aghajan - cristiano, ministro delle Finanze nel governo regionale del Kurdistan – spiega che più di 30 villaggi cristiani sono stati ricostruiti, “ma la gente non vuole farvi ritorno, finché non si sentirà protetta”. Secondo Aghajan, “se i nostri amici non ci aiuteranno ora, la loro amicizia non varrà nulla in futuro; continuando così, Baghdad e Mosul si svuoteranno di cristiani”.
Seppure in dimensioni diverse, il dramma dei cristiani iracheni è lo stesso vissuto dai sunniti e dai curdi, come pure della maggioranza sciita. Le violenze settarie non cessano, come gli attentati alle moschee. Il ministero per la migrazione in Iraq, ha definito “in crescita” il numero di musulmani in fuga da Baquba, nella provincia di Diyala, dopo Baghdad la zona più colpita dagli scontri. (MA)

5 ottobre 2006

Musulmani e Cristiani in Iraq: convivenza possibile nel nome del Dio comune

Il Vescovo Caldeo di Kirkuk, Monsignor Luis Sako, in occasione della lettera pastorale a tre anni dalla sua nomina episcopale, scrive della possibile convivenza tra cristiani e musulmani.

Il nostro rapporto con i fratelli musulmani è basato sulla fede in Dio. Essi dichiarano di appartenere alla fede di Abramo ed adorano come noi cristiani l'unico Dio misericordioso che tutti giudicherà nel Giorno del Giudizio. E' anche basato sulla comune appartenenza alla famiglia umana, sulla coesistenza e sul comune destino. Dio ci ha creati diversi perché diventassimo fratelli, per amarci ed aiutarci a vicenda vivendo in gioia e felicità. Questo è il lievito della coesistenza. Speriamo in un Iraq sicuro e pacificato, dove ogni persona possa realizzarsi, ma dobbiamo fare attenzione a chi mette la religione al servizio della politica togliendo ad essa i suoi significati più alti.

Monsignor Luis Sako Vescovo Caldeo di Kirkuk

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

4 ottobre 2006

8000 caldei attendono in Giordania di fuggire in Occidente

Padre Raymond Mousalli è parroco della chiesa caldea di Saint Joseph ad Amman. Il sacerdote ha rivolto un appello alle organizzazioni internazionali ed umanitarie perchè aiutino la popolazione caldea in Giordania che è aumentata notevolmente a causa di una cospicua immigrazione dall’Iraq. Ci sono ora, secondo Padre Mousalli, circa 8000 persone in attesa di un visto per l’espatrio o del riconoscimento di asilo a causa delle giornaliere difficoltà in Iraq. L’appello è rivolto alla Croce Rossa ed ad Amnesty International perchè facciano pressioni per una maggiore celerità nelle concessioni del visto per chi vuole espatriare.

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

TRA L’ISLAM E LA CRISTIANITA’: CHE TIPO DI DIALOGO SERVE?

Il Vescovo Caldeo dell'Eparchia della California, Monsignor Sarhad Yawsip Jammo affronta il difficile tema del dialogo tra Cristianità ed Islam
.
Da quando l’Islam è comparso nella storia grazie allo sforzo di Maometto quattordici secoli fa un complesso scontro dialettico si è creato tra esso e la Cristianità. Il Giudaismo nega che Gesù di Nazareth sia il Messia ed il Figlio di Dio, l’Islam accetta Gesù come uno dei grandi profeti, ma considera la fede nella Sua divinità come un errore ed una esagerazione blasfema, promovendo inoltre il credo in Maometto come messaggero finale di Dio...
In aggiunta, l’Islam non racchiude in se solo una visione ed un codice morale, ma una legge civile – la Shary’a – così come decreti che specificano le leggi che regolano ogni aspetto della vita, allo scopo di formare una società completamente conforme all’Islam. Al contrario, Gesù Cristo predicò il Regno di Dio e creò la Chiesa per la sua realizzazione. La Cristianità, quindi, è una forza spirituale concepita come un lievito che, attraverso il potere della verità e dell’amore, favorisca lo sviluppo dell’umanità trasformandola nell’immagine di Dio. Sebbene né la Cristianità né l’Islam possano sottrarsi alla responsabilità degli eventi storici ad essi collegati per la concreta implementazione della propria fede, il riferimento ultimo per l’autenticità di ogni religione rimane il Fondatore, il Suo autorevole lascito ed il Suo messaggio. Questo lascito è, a mio parere, il soggetto valido per un serio e produttivo dialogo tra le due religioni. Per quanto riguarda le questioni di fondamentale importanza i punti da cui iniziare questo dialogo sono:
a) Il principio di uguaglianza di tutti i cittadini come principio fondamentale e non negoziabile, senza riguardo a quale comunità religiosa sia, in un paese specifico, in maggioranza o in minoranza perché i diritti umani non sono garantiti dalla maggioranza alla minoranza, ma sono diritti inalienabili dati dal Creatore a tutti i cittadini. I cristiani, di quelle o di altre società, non possono applicare legislazioni che rendano i musulmani dei cittadini di seconda categoria, ed allo stesso modo la Shary’a non può fare dei non musulmani dei cittadini di seconda classe sotto la denominazione di dhimmi.
b) Il principio di reciprocità è di vitale importanza in ogni dialogo corretto. I diritti religiosi riconosciuti ai musulmani nei paesi dove essi sono in minoranza devono essere riconosciuti per i cristiani laddove i musulmani siano in maggioranza.
c) La piena libertà religiosa è un diritto naturale di ogni individuo e come tale deve essere riconosciuto e difeso in ogni società.
E’ necessario dare subito inizio ad un dialogo basato su questi principi, un dialogo che possa costituire delle robuste fondamenta per lo sviluppo di una relazione responsabile tra cristiani e musulmani.
Questo è ciò che secondo noi significa l’appello di Sua Santità Papa Benedetto XVI.

Mar Sarhad Yawsip Jammo
Vescovo Caldeo Eparchia San Pietro Apostolo San Diorgo, California, USA

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

Iraq: cristiani e cattolici minacciati di morte

Una trentina di famiglie di Mosul ha ricevuto lettere minatorie. Un sacerdote: "Ci siamo espressi contro le ultime dichiarazioni del Papa."

Leggi tutto l'articolo su il Resto del Carlino

2 ottobre 2006

Monsignor Philippe Najim, Procuratore della Chiesa Caldea presso la Santa Sede: il Papa ci è vicino

Le parole di Benedetto XVI all’Angelus hanno avuto il merito di “riportare all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale la situazione dell’Iraq” e di “rilanciare il dialogo tra cristiani e musulmani che nel Paese dura da 14 secoli”.
A dichiararlo al Sir è padre Philip Najim, procuratore della Chiesa caldea presso la Santa Sede. “Esse testimoniano la grande vicinanza del Papa all'Iraq e la sua attenzione al dialogo, alla convivenza e alla tolleranza. Benedetto XVI ha invocato il rispetto della persona umana, creatura di Dio, e la ricerca della pace attraverso l'amore e la carità. Ed il dialogo è strumento privilegiato per conseguire questo scopo. Nel suo saluto è stato deciso e preciso rivolgendosi alla ‘cara popolazione irachena’, senza distinzione di sorta. La sofferenza è di tutti, sunniti, sciiti, cristiani”.
Riferendo poi dell’incontro tra il Pontefice ed il patriarca caldeo, Emanuele III Delly, il Procuratore ha ricordato che “la popolazione continua a soffrire e si nota con un certa amarezza che nei giornali si parla sempre meno dell'Iraq. Gli attentati terroristici continui mietono vittime ogni giorno. La principale emergenza resta la sicurezza senza tacere delle difficoltà della popolazione nel reperire con regolarità il necessario come acqua, cibo, elettricità e servizi vari. Davanti a tutto questo è difficile parlare di rinascita irachena”.

Fonte: SIR

1 ottobre 2006

Membro assiro del parlamento curdo critica la bozza di costituzione del Kurdistan


Intervista a Sargis Aghajan, Ministro delle Finanze del Governo Regionale Curdo sulla costituzione regionale curda.

“La bozza della costituzione per il Kurdistan presenta dei difetti per quanto riguarda i diritti della nostra gente (i cristiani iracheni n.d.t.) che sono troppo importanti per essere ignorati, e che dovrebbero invece essere considerati. La bozza di costituzione (infatti) non garantisce i diritti della nostra gente all’autodeterminazione nelle aree da essa abitate: la Piana di Niniveh.”

Per quanto riguarda i termini “caldei” ed “assiri” usati separatamente nella costituzione, Sargis Aghajan, ha espresso il suo rifiuto: “La costituzione ci separa in due popoli e ciò non è accettabile. Noi sosteniamo la definizione composta di “AssiroCaldeiSiriaci” che garantisce ed unisce la nostra gente”

Parlando poi del ruolo dei cristiani in Iraq Sargis Aghajan ha sottolineato come sia “importante per la nostra gente godere dei pieni diritti costituzionali non solo a livello regionale, ma anche nazionale. E’ (altresì) importante che gli AssiroCaldeiSiriaci amministrino i propri affari nelle aree da essi abitate, inclusa la formazione di una speciale forza di polizia e di un servizio di sicurezza interno formato da appartenenti alla nostra comunità.”

Sargis Aghajan, che nelle passate settimane ha avuto parecchi incontri ufficiali proprio riguardo a questi temi, si è detto “fiducioso che gli sforzi comuni e la piena coscienza dei problemi possano avere come risultato l’ottenimento dei diritti da parte della comunità cristiana irachena, e che questi diritti saranno inclusi nella bozza di costituzione prima della sua approvazione finale.”

Tradotto ed adattato da Baghdadhope

LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DELL’ANGELUS

Ho avuto la gioia, ieri, di incontrare Sua Beatitudine Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei, il quale mi ha riferito sulla tragica realtà che deve affrontare quotidianamente la cara popolazione dell’Iraq, dove cristiani e musulmani vivono insieme da 14 secoli come figli della stessa terra. Auspico che non si allentino tra loro questi vincoli di fraternità, mentre, con i sentimenti della mia spirituale vicinanza, invito tutti ad unirsi a me nel chiedere a Dio Onnipotente il dono della pace e della concordia per quel martoriato Paese.