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4 dicembre 2025

Sako: «Il Papa ha dato speranza a tutti i cristiani del Medio Oriente»

Leone Grotti
3 dicembre 2025

«Libano, rialzati! Sii casa di giustizia e di fraternità! Sii profezia di pace per tutto il Levante!». L’appello che papa Leone XIV ha lanciato ieri al termine dell’omelia, durante la Messa finale della sua visita in Turchia e Libano davanti al porto di Beirut sconvolto dalle esplosioni del 2020, è quello che meglio rappresenta lo scopo e il contenuto del suo primo viaggio apostolico.
«Queste parole sono un progetto che non riguarda solo il Libano, ma anche Iraq, Siria, Palestina, Ucraina: tutti», dichiara a Tempi il cardinale Louis Raphael I Sako, patriarca di Babilonia dei caldei, volato da Baghdad a Beirut per seguire da vicino Leone XIV.
Eminenza, qual è il messaggio principale veicolato da Leone XIV con il suo viaggio in Turchia e Libano?
Il Papa è venuto in Medio Oriente per dire qualcosa di estremamente semplice: basta guerre, basta sangue, è giunto il momento di lavorare per costruire la pace.
Negli ultimi vent’anni il Libano, come anche il suo Iraq, non ha conosciuto che guerra. Come si costruisce la pace?
 Di sicuro non attraverso le armi. Quando sorgono dei problemi, bisogna dialogare. Non c’è altra strada per porre fine a queste guerre senza senso. L’unica via è la diplomazia: vale per la Palestina come per l’Ucraina.
Leone XIV ha citato san Giovanni Paolo II: «Non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono». Che senso hanno queste parole nel Medio Oriente di oggi sconvolto dai conflitti?
Papa Wojtyla disse che il Libano è un messaggio di unità e fraternità nella diversità. Il Libano con i suoi tanti gruppi etnici, con le sue tante religioni, con i suoi mille colori, è stato tutto questo. Tutti coloro che venivano perseguitati dai paesi arabi si rifugiavano qui, perché nel paese c’era sicurezza. Ma oggi è cambiato tutto: i problemi, i conflitti e le divisioni non si contano. Ma il Libano non deve perdere la sua dimensione, non deve perdere il suo messaggio perché rappresenta una speranza di convivenza per tutti i paesi del Medio Oriente.
In Libano sono presenti più di 18 comunità religiose diverse e il potere è diviso tra sunniti, sciiti e cristiani. Ma da tempo il modello libanese sembra non funzionare più.
Quando si è aperti gli uni agli altri, la diversità è una bellezza ma come ha ricordato più volte il Papa serve l’unità, perché solo quando si è uniti si possono superare le divisioni. Non dobbiamo vivere in comunità chiuse, dobbiamo cambiare la mentalità e la nostra condotta. Una comunità da sola non può fare nulla, ma insieme possiamo costruire la pace, la convivenza e la libertà.
In Turchia il Papa ha messo in guardia anche dal fondamentalismo, condannando «la strumentalizzazione della religione per giustificare la guerra e la violenza». È un monito per il Medio Oriente, dove il fanatismo non sempre viene respinto?
Il richiamo di Leone XIV è fondamentale, ma devo dire che sia il presidente turco, Erdogan, sia quello libanese, Aoun, hanno parlato molto bene su questo tema. Non bisogna giustificare la politicizzazione della religione. Se Dio è amore, la religione non può essere usata per generare conflitti. Dobbiamo uscire da questa mentalità.
A essere sinceri, da questo punto di vista il Medio Oriente non sembra sulla buona strada. Perché secondo lei?
Il problema principale del Libano, ma anche dell’Iraq, è che ufficialmente c’è uno Stato solo, ma di fatto ci sono molti “Stati privati”, milizie armate che combattono. Questa situazione deve finire: solo lo Stato deve essere legittimato a usare la forza e solo l’esercito deve avere le armi. Queste milizie sono un enorme ostacolo alla pace.
Perché secondo lei il Papa ha scelto proprio Turchia e Libano per il suo primo viaggio apostolico?
Per parlare di pace, come ho detto, ma anche per dare speranza ai cristiani che abitano in Medio Oriente. Leone XIV è venuto a incoraggiarci a sperare e a rimanere in questa terra. Il messaggio era molto chiaro e molto forte. Noi cristiani abbiamo abitato queste terre per primi e abbiamo una missione: testimoniare Gesù Cristo in questi paesi. Non è un caso se siamo nati qui: è la nostra vocazione.
Eminenza, da dove nasce la speranza?
Gesù Cristo che nasce in mezzo a noi a Natale è la nostra speranza. La speranza viene dall’annuncio fatto ai pastori: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra”. Questo avvenimento invita anche noi a nascere di nuovo, a uscire dal nostro guscio per aprirci agli altri.