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28 settembre 2011

Le rivolte in M.O. e i cristiani arabi: una prudenza giustificata

By Asia News

Habib Mohammed Hadi Sadr
, ambasciatore della Repubblica dell'Iraq presso la Santa Sede, ha scritto questo articolo sulla posizione e il ruolo dei cristiani arabi nel momento attuale in Medio Oriente.

La primavera araba interpella i cristiani arabi; c’è un’escalation di critiche nei loro confronti per la posizione che alcuni di loro hanno espresso a proposito delle rivolte nei Paesi arabi; alcuni analisti ritengono che una rinascita dei cristiani arabi avverrà grazie a ciò che sta per accadere, nel mondo arabo, e non in base a quello che è passato. Cristo non è mai stato un modello per i dittatori; e c’è chi ritiene che un vero, sincero dialogo islamo-cristiano possa nascere proprio con la rivoluzione, oppure nel periodo che seguirà alla rivoluzione.

Ci sono persone che criticano l’atteggiamento di una parte dei cristiani arabi nei confronti dei movimenti di rivolta in corso, e ricordano con ammirazione la nobile posizione che i cristiani arabi hanno avuto nei confronti dell’Impero ottomano, al tempo dei movimenti di liberazione arabi, e l’atteggiamento molto negativo dei cristiani verso le politiche francesi e britanniche in Medio Oriente, e in particolare nei confronti dei piani e comportamenti dei sionisti nei territori arabi occupati.

In realtà dobbiamo analizzare a fondo le diverse posizioni, in maniera neutrale e realistica. E allora dobbiamo riconoscere un primo fatto importante: la componente arabo-cristiana è una minoranza all’interno delle società in cui vive. Non si può negare l’importanza e il peso del loro ruolo, attraverso diverse epoche storiche, ma il numero conta, e il peso della maggioranza è completamente diverso da quello della minoranza. La minoranza è allarmata. Teme che gli sconvolgimenti politici, sociali ed economici che avvengono in maniera imprevista, che si svolgono in base a emozioni, e non a programmi, e che non tengono conto delle condizioni interne ed internazionali, possano avere conseguenze gravi sulla vita delle minoranze, e aprire la strada a un futuro ignoto, e terribile.

Le prime rivolte arabe hanno ricevuto il pieno consenso dal mondo arabo; ma oggi non è così. Per esempio le società nei cui Paesi avviene una rivolta – Siria, Yemen, o Bahrain – soffrono per le divisioni con cui si affronta la prospettiva di cambiamento e si chiedono le riforme democratiche. Abbiamo luoghi dove si chiede una soluzione pacifica, e si contesta l’ingerenza straniera; ma altrove c’è chi usa la violenza, e lo scontro, e c’è chi si affida alla protesta armata e usa forze straniere per rovesciare il regime. La situazione è resa più difficile dall’atteggiamento della comunità internazione e dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ogni parte agisce secondo i suoi interessi, le sue analisi e le sue strategie per operare nel presente e nel futuro della regione. E questa situazione fa sì che i cristiani arabi attendano prima di impegnarsi, per non commettere errori nella valutazione delle probabilità.

Ed è anche giusto che i cristiani diffidino di queste proteste, temendo che esse siano guidate da forze radicali islamiche che vogliono conquistare il potere, basandosi sul fatto che sono più organizzate e hanno una grande, efficace capacità di mescolare le carte. Sono forze che hanno versato sangue cristiano e dissacrato le chiese. Allora i cristiani arabi si trovano a scegliere fra accettare sistemi autoritari, ma con una certa dose di laicità, che garantiscono la libertà religiosa, o sistemi di tipo totalmente diverso. A loro scegliere quello che sembra il male minore.

Ciò che rende il problema complesso, e lo scenario confuso, è la mancanza di un’alternativa convincente ai sistemi che si desidera cambiare. Inoltre i movimenti di protesta non hanno un comando unificato, una visione chiara, programmi e tendenze precisi. E’ una situazione che permette agli opportunisti di cavalcare l’onda di protesta e di condurre la protesta stessa verso obiettivi estremisti. I cristiani arabi fanno uso con saggezza della loro posizione per prendere una decisione. Vedono il pericolo dei conflitti fra manifestanti e potere, l’uccisione di persone innocenti, la distruzione delle proprietà e il blocco degli interessi. Pensano che le soluzioni pacifiche, cercare le vie per un dialogo sobrio e discreto fra popolo e governanti, aprire la strada alle riforme necessarie e alla ristrutturazione sia il modo migliore per scongiurare la possibilità di interventi esterni nell’acqua resa torbida dalle rivolte.

L’aspirazione a soddisfare il desiderio dei cittadini arabi a un modello democratico che vuole ottenere il trasferimento pacifico del potere con il ricorso alle urne è un diritto dei cittadini; ma si raggiunge con i diritti costituzionali, non con il metodo e il linguaggio dei proiettili.

I cristiani arabi non sono migliori dei loro fratelli, ma portano una voce molto potente di saggezza nella gestione di questa crisi. Anche loro sono vittime di ciò che i regimi dittatoriali dei Paesi arabi hanno prodotto, e cioè l’emarginazione nel processo decisionale, il silenzio e una condizione di cittadini di seconda categoria; e per questo motivo un gran numero di loro ha deciso di emigrare dal suo Paese, alla ricerca di libertà e dignità.

Queste ragioni hanno portato a una chiusura, al declino demografico e al loro ruolo attuale. Questa regione è la loro casa natale, la culla storica delle religioni monoteiste.
La Santa Sede, preoccupata, ha deciso la convocazione di un Sinodo dei vescovi dedicato al Medio Oriente nel mese di ottobre dell’anno scorso, per studiare questo grave problema e prendere le misure necessarie a fermare questa tendenza. La convinzione di base è che la ricchezza di questa regione sta nella pluralità e nella diversità che esiste all’interno delle varie nazioni: religiosa, di lingua, di storia; e la coesistenza fra le diverse fedi. L’etica e la cultura cristiana sono centrate su un sistema di valori che si oppongono all’ingiustizia, lontani dalla corruzione, e aperti al concetto di libertà. Il messaggio di Gesù Cristo ai popoli è il rifiuto dell’autoritarismo, e la promozione della virtù; la rinuncia a ogni forma di odio, di violenza e di coercizione.
Quindi dobbiamo accettare, dopo tutto quello che abbiamo visto, l’atteggiamento dei cristiani, incoraggiandoli a interpretare ciò che è giusto e logico, a seconda del contesto, e a non dare importanza ad accuse infondate; sono nostri compatrioti, hanno tutto in comune con noi, Patria, scopo e destino.

M.E revolts and Arab Christians: a justified prudence

By Asia News

Habib Mohammed Hadi Sadr, Ambassador of the Republic of Iraq to the Holy See, wrote this article on the position and role of Arab Christians in the Middle East at the present time.

The Arab Spring regards Arab Christians; there has been growing criticism against them for the position some of them have expressed over the riots in Arab countries, some analysts believe that there will be a revival of Arab Christians thanks to what is taking place in the Arab world, and not what happened in the past. Christ has never been a model for dictators, and there are those who believe that a true, sincere Christian-Muslim dialogue can be born of the revolution, or in the period that will follow the revolution.

There are people who criticize the attitude of some of the Arab Christians against the current protest, who recall with admiration the noble position that Arab Christians during the Ottoman Empire at the time of the Arab liberation movements , and the very negative attitude of Christians towards the French and British policies in the Middle East, and in particular against the plans and behaviour of the Zionists in the occupied Arab territories.

The reality calls for a neutral and realistic analysis of the differing positions. So then we must first recognize an important fact: the Arab Christian component is a minority within the society in which they live. There is no denying the importance and weight of their role, through different historical periods, but the number counts, and the weight of the majority is completely different from that of the minority. This minority is alarmed. It fears that the political, social and economic turmoil which erupted unexpectedly, motivated by emotions rather than clear programs, and which does not take account of internal and international conditions, can have serious consequences on the lives of minorities, and open the way for an unknown and terrible future.
The first Arab revolts received the full support of the Arab world, but today this is no longer the case. For example, the societies in countries where there is a revolt - Syria, Yemen, and Bahrain – are divided on how the prospect of change and demands for democratic reforms. In some places there are calls for a peaceful solution, and protests against foreign interference, but elsewhere there are those who use violence and confrontation, and there are those who rely on armed protests and use foreign forces to overthrow the regime. The situation is made more difficult by the attitude of the international community and the UN Security Council. Each party is acting according to his own interests, analysis and strategies to operate in the present and future of the region. And this situation means that Arab Christians should wait before committing themselves, to avoid any errors in assessing all probabilities.

It is also only natural that Christians should mistrust these protests, fearing that they will be led by radical Islamic forces who want to seize power, based on the fact that they are more organized and have a greater, more effective ability to shuffle the cards. These are forces that have shed blood and desecrated Christian churches. As a result Arab Christians find themselves having to choose between accepting authoritarian systems, but with a certain amount of secularism, which guarantee freedom of religion, or a totally different type systems. They choose what seems to them the lesser of two evils.

What makes the problem complex and scene confusing is the lack of a convincing alternative to the systems protesters want to change. In addition, the protest movements do not have a unified command, a clear, specific program or trend. This situation allows opportunists to ride the wave of protest and direct the protest towards extremist goals. Arab Christians wisely use their position to make a decision. They see the danger of the conflicts between demonstrators and power, the killing of innocent people, destruction of property and the blocking of interests. They believe that peaceful solutions, the search for sober and discreet dialogue between people and rulers, opening the way for necessary reforms and restructuring are the best way to avert the possibility of external intervention in the water made increasingly cloudy by the riots.

The aspiration to satisfy the desire of Arab citizens for a democratic model to achieve the peaceful transfer of power by recourse to the polls is a right of citizens, but can only be reached with the constitutional rights, not with the method and language of bullets.

Arab Christians are no better than their brothers, but carry a very powerful voice of wisdom in the management of this crisis. They too are victims of what the dictatorial regimes of Arab countries have produced, namely marginalization in decision-making, silence and a condition of second-class citizens, and for this reason a large number of them decided to emigrate from their country, in search of freedom and dignity.

These reasons have led to a closure, demographic decline and their current role. This region is their birthplace, the historic cradle of the monotheistic religions.

The Holy See, worried, decided to convene a synod of bishops dedicated to the Middle East in October last year, to study this serious problem and take the necessary measures to stop this trend. The basic belief is that the wealth of this region lies in the plurality and diversity that exists within the various nations: religion, language, history and coexistence between different faiths. Christian ethics and culture are centred on a system of values that are opposed to injustice, far removed from corruption, and open to the concept of freedom. The message of Jesus Christ to people is rejection of authoritarianism, and the promotion of virtue and the renunciation of all forms of hatred, violence and coercion.

Therefore, after all that we have seen, we must accept the attitude of Christians, encouraging them to interpret what is right and logical, depending on each context, and not to give importance to unfounded accusations, they are our compatriots, we have everything in common, Homeland, purpose and destiny.

26 settembre 2011

«Volti e voci dall'Oriente» Mons. Sako al Tempio Votivo

By L'Eco di Bergamo

Giovedì 29 Settembre, alle 20.45, presso il Tempio Votivo della Pace (Parrocchia di Santa Lucia, via Statuto 10) continua l'edizione 2011 di Molte fedi sotto lo stesso cielo, promossa dalle Acli di Bergamo, con l'intervento di
Mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk in Iraq.
L'incontro, inizialmente previsto presso il Salone della Parrochia di Santa Lucia, al 12 di via Torino, è stato spostato presso il Tempio Votivo della Pace per dare la possibilità di partecipare ad un numero maggiore di persone, viste le numerosissime richieste pervenute. Sono disponibili ancora dei posti, è possibile prenotare attraverso il sito www.moltefedisottolostessocielo.it, o recandosi direttamente presso la sede delle Acli Provinciali di Bergamo in via San Bernardino 70/A.
L'intervento di Mons. Louis Sako è il secondo della nuova sezione di Molte fedi sotto lo stesso cielo, “Voci e volti dall'Oriente”, pensata per mantenere uno sguardo costante e un'attenzione viva verso i cristiani del Medio Oriente. La sezione continuerà con un ultimo importante appuntamento Giovedì 6 ottobre con la fotografa e reporter Monika Bulaj per un percorso tra parola e immagini sul tema della sezione.

Mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk in Iraq, è un coraggioso esponente della comunità cristiano-caldea irachena. Originario di Mosul, è un difensore di primo piano delle minoranze minacciate e un ardente sostenitore del difficile processo di democratizzazione e di riconciliazione in Iraq.
È promotore riconosciuto del dialogo e della riconciliazione in Iraq, e negli ultimi anni si è fatto interprete delle difficoltà dei cristiani iracheni, costretti ad una vita catacombale a causa dell'aggressività del fondamentalismo islamico. Nel giugno del 2008 gli è stato attribuito il premio “Defensor Fidei”, attribuito alle personalità laiche e religiose distintesi nell'evangelizzazione e nella difesa della fede, specie in luoghi e situazioni ostili.
Nel 2010 ha ricevuto il Premio per la Pace “Pax Christi”. Nel 2011 ha ricevuto il Premio per i Diritti Umani della Fondazione Stephanus (Germania) per la sua battaglia a favore dei diritti umani in Iraq e del dialogo interreligioso fra cristiani e musulmani.

Premio della bontà al patriarca caldeo, Cardinale Mar Emmanuel III Delly: le foto

By Baghdadhope*

Alcune foto della consegna del premio della bontà dedicato alla memoria di Papa Paolo VI quest'anno assegnato al patriarca della chiesa caldea, Cardinale Mar Emmanuel III Delly, e ritirato dal suo vicario patriarcale accompagnato nel viaggio nei luoghi di Papa Montini da Padre Basel Yaldo.
* Il sindaco di Concesio, Stefano Retali, presenta la motivazione del premio assegnato al patriarca caldeo.
* In ricordo dell'esperienza "montiniana"
* Nei luoghi di Papa Montini.
*
La Santa Messa concelebrata da Mons. Shleimun Warduni, da Mons. Secondo Osio parroco della chiesa di Sant'Antonino a Concesio, paese natale di Papa PaoloVI, e da Padre Basel Yaldo.
* Cardinale Mar Emmanuel III Delly, patriarca di Babilonia dei Caldei.
* La consegna del "premio della bontà" al delegato patriarcale caldeo.






23 settembre 2011

Christian spiritual leaders in Middle East call for protection again

By PanArmenian.net, September 22, 2011

The development of the Arab spring are causing concern to leaders of Eastern Christian communities, who have by now started to openly express their fears with regard to an rise in Islamic radicalism in the New Middle East, says a report in the Assyrian International News Agency.
"The Arab Spring has created more Muslim militants,"
the Chaldean Archbishop in Kirkuk, Iraq, Louis Sako said, pointing out the risk of the thousand year old Middle Eastern culture of pluralism, crumbling. But the West too has made a mistake: "Instead of trying to impose the western model of democracy, they need to invest in youngsters' education," Kirkuk's Chaldean spiritual leader commented.
Archbishop Sako has, already, on several occasions, made lively appeals to the International community, asking it to protect Christians in Iraq who "risk extinction". Indeed, "in Iraq, the number of Christians continues to drop. They could disappear altogether as a result of continuous persecution, threats and violence." Between America's invasion of Iraq in 2003 and today, there have been attacks on about sixty Churches; one bishop and three priests have been kidnapped and killed; approximately a thousand innocent Christians have been killed and hundreds of thousands forced to abandon their homes in search of safety. This is why, "in Iraq and in other Countries, there is a risk of the Christian community becoming extinct."
What is worrying the prelate the most is "the lack of a plan", when Christians in Iraq and the Middle East have two options: "They can either emigrate or accept life as second rate citizens amidst numerous difficulties and fears." Hence the appeal: "We are in need of stronger support from everyone, with a clear political vision and clearly set out plans, not just to protect and encourage Christians to stay in their country, but also to promote reconciliation among the Iraqis, and human rights," as well as to "ensure governments respect the rules."
According to Monsignor Sako, "the international community needs to assume responsibility" and "come to a mutual agreement with local authorities" in order to guarantee equal protection and equality between all citizens. The international community must also "help emigrants to return" or, if this is not possible, they should help them remain settled wherever they have found shelter.

Premio Paolo VI al Patriarca della chiesa caldea

By Baghdadhope*

Nell'ambito della "Settimana Montiniana" in ricordo della figura di Papa Paolo VI domani, 24 settembre, l'amministrazione comunale di Brescia e l'Accademia di musica e canto "Gli scoiattoli" consegneranno al Patriarca caldeo, Cardinale Mar Emmanuel III Delly, il premio della bontà intitolato al pontefice nativo di Concesio (Bs).
Il Cardinale Delly, impossibilitato ad intervenire di persona alla premiazione ed alla Santa Messa che sarà celebrata domani nella chiesa di San Giovanni Battista perchè impegnato in lavori pastorali, ha delegato come suo rappresentante il suo ausiliare, Monsignor Shleimun Warduni che è accompagnato in questo viaggio da Padre Basel Yaldo della diocesi caldea degli Stati Uniti orientali.
"E' una grande gioia" ha dichiarato a Baghdadhope Mons. Warduni "questo riconoscimento ad un iracheno di grande personalità e spessore morale come il nostro Patriarca, e siamo altresì grati al Signore per la grazia che dà alle persone che vogliono riconoscere con questo premio il lavoro svolto a favore della pace in Medio Oriente, e specialmente in Iraq, e della comunità cristiana del nostro paese."
Alla santa messa di sabato, in rito latino in cui però saranno inserite alcune preghiere in Aramaico, la lingua parlata da Gesù ed ancora lingua del rito caldeo, ne seguirà un'altra, sempre presieduta da Mons. Warduni, domenica alle ore 9.00 nella chiesa dedicata a Sant'Antonino.

Per informazioni sulle Sante Messe clicca qui

22 settembre 2011

Iraqi Christians find safety in north, but no jobs

By Reuters
by Serena Chaudhry

Menas Saad Youssef no longer fears being blown up while praying in a church. But she and many other traumatized Christians who fled Iraq's capital for safer areas have a new crisis -- no jobs.
Almost a year since a deadly church siege in Baghdad that killed dozens of people and prompted her family to seek refuge in the prosperous northern Kurdish region, Youssef sits at home, frustrated about her future.
The 28-year-old academic, who is still haunted by images of her friends lying in pools of blood at the cathedral where she prayed every Sunday, misses her job as an architecture professor in Baghdad.
"It's a safe place. I can go out at night," she said, referring to the mainly Christian area of Ainkawa in the city of Arbil, 300 km (190 miles) north of Baghdad.
"But the big problem is there's no work. So you feel good in the beginning and then when you try to earn a living, it's very difficult. We can't find any jobs."
Iraq's Christians -- most of them Syrian or Chaldean Catholics -- numbered around 1.5 million before 2003 and are now estimated at about 450,000-600,000, according to Christian leaders. Iraq has not conducted a full census since 1987, but the largely Muslim country is estimated to have a current population of about 30 million people.
While most of the sectarian fighting that followed the 2003 U.S.-led invasion has been between Sunni and Shi'ite Muslims, attacks on Christians have increased in recent years.
Last October, 52 hostages and police were killed when al Qaeda-linked gunmen took more than 100 Catholics captive in a siege at the Our Lady of Salvation cathedral in central Baghdad. Sixty-seven others were wounded in the incident.
It was the bloodiest attack against Iraq's Christians in the eight years of war that followed the invasion and struck fear into the Christian community, prompting hundreds of families to flee to the north or overseas."
There are around 900 Christian displaced families who have settled permanently in Arbil province, including in Ainkawa, since the explosion at Our Lady of Salvation," said Kamran Abdullah, head of the Kurdish migration and displacement department in Arbil province.
"More people were displaced but some of them have returned to their former areas. Others have left the province to go abroad or to other provinces."

RELIGIOUS MINORITY


Iraqi Kurdistan has been an oasis of relative calm since 1991, when the zone became a semi-autonomous enclave under Western protection. The region has earned the reputation of being a safe-haven in an otherwise dangerous country.
But while the area has attracted foreign investment and construction is booming, Christians who have moved to Iraq's north say they are still marginalized.
"Christian people have no support from anyone in Iraq. We feel it's become the norm," said Abu Rani, who runs a small electronics shop in Ainkawa. He left Baghdad in 2007 during the height of sectarian violence.
One of the main obstacles to finding jobs is that anyone who moves into the region from elsewhere wanting to live and work in Iraqi Kurdistan must obtain a residence permit from the interior ministry of the Kurdish Regional Government. To get a permit they must also have a local sponsor who can provide assurances.
The permit, which needs to be renewed on an annual basis, has to be presented when looking for work.
"Unless you have such an approval, you can't find a job here (in Arbil)," said a member of the Chaldean Syrian Assyrian Council, who declined to be named.
"Our number has been diminished to this extent because we don't have any constitutional rights up until this moment. We are just regarded as a religious minority. We depend on other people's good will to find jobs, to live peacefully, to go about our way of life."
Iraq has an official unemployment rate of 15 percent, with another 28 percent of the workforce in part-time jobs. Much of the population relies on a national food ration scheme.
Abdullah said that of the families who had settled in Arbil province, 365 Christians have been employed by the government.
To help resettle Christians in Arbil faster, Abdullah said the migration and displacement office arranged for some of them to get work and university transfers to Iraqi Kurdistan from their home towns.
"It means that they work here but they are employees of the Iraqi government and get their salaries from them," he said.
Abdullah said 104 Christian students had been resettled in Arbil.
Youssef, * who moved with her parents and siblings to Ainkawa last November, is still waiting for her permit.
"I left everything in Baghdad and came here to start from the beginning, from zero. Everything is confusing for me. I don't know what will happen in the future," she said.
Her parents, both dentists, have secured their permits but the family still had to rely on help from relatives overseas to furnish their house in Ainkawa, for which they pay $700 a month in rent. They left most of their belongings in Baghdad.
Despite the frustrations, Youssef and her family say they will not return to their empty home in the capital.
"I will never return. In Baghdad there is no security. You never know if there is a bomb behind you or in front of you. It can be anywhere," said her father, 63-year-old Saad Youssef.
The only other option is to leave the country, something the family does not want to do.
"All of the Christians here want to go to another country ... especially the youth. I will stay here. It's my country, I will not run away," said Youssef's 25-year-old brother Khalid.

(Additional reporting by Shamal Aqrawi; Editing by Jim Loney and
Paul Casciato)
* Youssef is a male name but the person speaking is referred to as a woman. Note by Baghdadhope

19 settembre 2011

All'Unione Europea le sofferenze dei cristiani iracheni

By Radiovaticana

La settimana scorsa gli arcivescovi iracheni Bashar Warda di Erbil e Amil Nona di Mosul hanno incontrato il Presidente del Consiglio Europeo, Hermann Van Rompuy.
Nel colloquio, i due presuli di rito caldeo hanno ricordato le sofferenze dei cristiani in Iraq, dicendo che nel Paese non c'è libertà religiosa e sottolineando la necessità che i fedeli ricevano aiuti per costruire scuole, frequentate al 90% da allievi musulmani. “L'istruzione aiuterebbe a sviluppare una nuova cultura e la libertà di religione, aprendo nuove prospettive per i giovani”, ha indicato l'arcivescovo Warda.
L'incontro con Van Rompuy - riferisce l'agenzia Zenit - è durato mezz'ora e si è svolto a Bruxelles nel contesto delle visite organizzate dall'associazione caritativa cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), che sostiene i cristiani perseguitati e sofferenti.
Durante la discussione, Van Rompuy si è informato sulle condizioni di vita della popolazione irachena, sui diritti delle donne e su come l'Europa possa essere di aiuto. Nell'arcidiocesi di mons. Nona, Mosul, i cristiani e gli edifici ecclesiali sono bersaglio di attacchi ripetuti, e il predecessore del presule, l'arcivescovo Faraj Rahho, è morto nel marzo 2008 dopo essere stato rapito.
Per l'arcivescovo Warda, dal 2003 sono circa 500 i cristiani uccisi per motivi religiosi o politici. Nello stesso periodo, ha aggiunto, 66 chiese sono state attaccate, e 4.000 famiglie di cristiani iracheni sono fuggite nella sua diocesi di Erbil, nel nord curdo, per evitare violenze e intimidazioni.
I due arcivescovi hanno anche sottolineato a Van Rompuy la propria preoccupazione per la situazione dei diritti umani a causa dell'articolo 3 della Costituzione dell'Iraq, che sancisce la supremazia della legge islamica, la shari'a.
Hanno inoltre incontrato alcuni membri del Parlamento Europeo e della Commissione dell'Unione Europea e Hans-Gert Pöttering, ex Presidente dell'Europarlamento e attualmente presidente della Fondazione Konrad Adenauer. La visita, commenta Acs, “ha dimostrato la crescente preoccupazione dell'Unione Europea per i cristiani del Medio Oriente”.

Mgr Sako: Middle East Christians, between State Islam and Fundamentalism

By Asia News
by Louis Sako

The changes in Middle East countries in recent years threaten to foment fundamentalism. Mgr. Louis Sako, Chaldean Catholic Archbishop of Kirkuk, says the Christian minority there, accustomed to living under state Islam, should dialogue with its Muslim fellow citizens and explain that it is possible to live side by side with reciprocal respect and dignity. With regard to the Arab springtime and attempts on the part of the West to export its own model of democracy, the Archbishop affirms: such attempts are ineffective, it is better to focus on educating youth.
For years the political geography of the Middle East– in Iran, Iraq, Egypt, Tunisia, Libya… – has initiated and suffered changes. These changes are a source of acute concern for religious and ethnic minority groups, mainly Christians. A Middle East divided in different ethnic nations, so often proposed, would destroy a mosaic of millenary pluralism without bringing a solution.
In actual fact, our Middle East Christians have discovered a way of life, more or less positive, under state Islam. For 14 centuries we have lived in peaceful, although conditioned, co-existence. We, Christians of the near East, are aware of our future in these Muslim majority countries. Without either over-simplifying or exaggerating, we know that for Islam State and religion walk hand in hand and cannot be separated. Even in countries, so-called, secularised, there has never been a separation of the two powers, as in the case of the West.
However today the situation has changed completely. Fundamentalist Islam is growing and becoming an increasingly concerning phenomenon. Extremists want Islamic law, (Shari’a) to be the basic law of the State, to protect their religious and ethnic identity (umma, community of true believers) from the “atheist corrupt” West. The Koran teaches Muslims that Islam, the religion taught by Mahommet the greatest of all prophets, is the only true and complete religion. This is why they preach the necessity of holy war (Jihad) to protect and to propagate their religion. But this could become extremely dangerous.
The Arab springtime has brought with it a powerful demand for democracy and recognition of the human rights of the individual. But, putting aside international propaganda, this idea, unfortunately, is something formal, belonging to theoretic principles rather than concrete reality. For the time being Europe's democratic model cannot work in the Middle East: it will take a long time for it to be applicable and it will demand a new culture and the formation of youth.
If we, the Christian minorities which have always lived in these countries, are to obtain a better future we have to rely only on ourselves, knowing that the West is led only by financial and political interests, all connected with oil. We must make it clear to our Muslim fellow citizens, frankly and without ambiguity, that we are an integral part of the population. We are native to these parts: we contributed greatly to the formation of Muslim culture, during the Caliphate of the Umayyads and the Abbasids; we were chief players in the renaissance of the Arab nation in the 18th century; today, we intend to maintain our role side by side. We must tell them: we respect you and we love you because God who is love, loves us all . For our part, we ask you to respect us as we are and to respect our religion. Only in this way will we trust one another and strengthen our relations.
Therefore it is necessary to discuss together the reasons for our fears and for our hopes. With courage and sincerity, we must discuss our common destiny with fundamentalists, Muslim Brothers, Salafis, Sunni and Shiite authorities. We must show them our sincerity, our commitment and our determination to live side by side with respect and with dignity.

Mons. Sako: i cristiani mediorientali, tra islam di Stato e fondamentalismo

By Asia News
by Louis Sako

Le trasformazioni che i Paesi del Medio oriente stanno affrontando negli ultimi anni rischiano di fomentare il fondamentalismo. Mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk, spiega che la minoranza cristiana, abituata a vivere sotto l’islam di Stato, deve cercare il dialogo con i suoi concittadini musulmani e spiegare loro che è possibile vivere insieme con rispetto reciproco e dignità. Sulla primavera araba e il tentativo occidentale di importare il proprio modello di democrazia, l’arcivescovo ribadisce: tentativi inefficaci, meglio puntare sull’educazione dei giovani.
Da anni la geografia politica del Medio oriente – in Iran, Iraq, Egitto, Tunisia, Libia… – ha iniziato a subire trasformazioni. Tali cambiamenti preoccupano molto le minoranze religiose ed etniche, soprattutto cristiane. Un Medio oriente diviso in Stati etnici, come spesso si parla, distrugge il mosaico del pluralismo millenario, senza portare alcuna soluzione.
Con un islam di Stato, i nostri cristiani orientali hanno in realtà trovato un modo di vivere più o meno positivo. Abbiamo vissuto per 14 secoli insieme, in una convivenza pacifica anche se condizionata. Noi cristiani orientali siamo consapevoli del nostro futuro in questi Paesi a maggioranza musulmana. Senza semplificare o esagerare, comprendiamo che nell’islam lo Stato e la religione camminano insieme e non possono essere distinti. Anche in quei Paesi cosiddetti laicizzati non c’è mai stata una separazione dei due poteri, come nel caso dell’occidente.
Oggi invece, la situazione è cambiata del tutto. L’islam fondamentalista sta crescendo e diventando un fenomeno sempre più preoccupante. I fondamentalisti vogliono che la legge islamica (Shari’a) diventi la legge fondamentale dello Stato, per salvaguardare la loro identità religiosa ed etnica (umma, comunità di veri credenti) dall’occidente “ateo e corrotto”. Il Corano insegna ai musulmani che l’islam, la religione insegnata da Maometto, il profeta più grande di tutti, è l’unica religione vera e completa. Per questo predicano la necessità di una guerra santa (Jihad) per proteggerla e propagarla. Ma questo può diventare molto pericoloso.
La primavera araba ha portato una forte richiesta di democrazia e di riconoscimento dei diritti della persona. M al di là della propaganda internazionale, questa idea è purtroppo qualcosa di formale, che appartiene a principi teorici e non alla realtà concreta. Ora come ora il modello europeo democratico non funziona nel Medio oriente: ci vuole molto tempo perché esso sia applicabile ed esige una nuova cultura e la formazione dei giovani.
Noi minoranze cristiane, che viviamo in questi Paesi da sempre, per avere un futuro dobbiamo contare solo su noi stessi, sapendo che l’occidente è guidato solo da interessi economici e politici, sempre legati al petrolio. Bisogna dire ai nostri concittadini musulmani in modo chiaro e senza ambiguità che noi siamo parte integrante di questa popolazione. Noi siamo cittadini originali di queste zone: abbiamo contribuito molto alla formazione della cultura musulmana, durante il califfato degli omayyadi e degli abbasidi; eravamo i protagonisti del rinascimento della nazione araba nel 18mo secolo; oggi, vogliamo mantenere il nostro ruolo fianco a fianco. Dobbiamo dire loro: vi rispettiamo e vi amiamo perché Dio è amore e ci ama tutti. A nostra volta, vi chiediamo di rispettarci così come siamo e di rispettare la nostra religione. Solo così potremo fidarci gli uni degli altri, e stringere sempre di più i nostri rapporti.
Per questo, è necessario studiare insieme le ragioni delle nostre paure e delle nostre speranze. Con coraggio e sincerità, dialogare del nostro destino comune con i fondamentalisti, i fratelli musulmani, i salafiti, le autorità sunnite e sciite. E mostrare loro la nostra lealtà, il nostro impegno e la volontà di vivere insieme con rispetto e dignità.

16 settembre 2011

«Se vivi a Bagdad non puoi pensare al futuro. Avere aspettative è impossibile».

By La Perfetta Letizia 16 settembre 2011


Padre Robert Jarjis è il parroco di “Santa Maria Assunta in Cielo”, nel quartiere di Mansur a Bagdad.
Nel 2003 era in Iraq quando è scoppiata la guerra, poi nel 2004 si è trasferito a Roma per studiare. È tornato nella capitale irachena il primo aprile di quest’anno.
«Nel 2006 e nel 2007 qui c’è stato l’inferno e tutto si è fermato. Solo nel 2008 – racconta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre il sacerdote cattolico di rito siro-caldeo – alcune Chiese hanno potuto riprendere le attività pastorali».
Ma dopo il 31 ottobre, con la strage nella Chiesa di Nostra Signora della Salvezza, tutto si è fermato di nuovo. Nei suoi pochi mesi da parroco, don Jarjis è riuscito a ripristinare un ciclo d’incontri di fraternità per ultra quarantenni, attivo dal giugno scorso. L’intenzione è di poter riprendere il catechismo il prossimo ottobre, ma il sacerdote non nutre troppe speranze al riguardo. «La zona in cui ci troviamo è molto estesa – spiega – e non possiamo permetterci un pulmino. I ragazzi dovrebbero prendere i mezzi pubblici per raggiungere la nostra Chiesa, ma i genitori non glielo permettono perché è pericoloso».
Prima della caduta del regime i quartieri a maggioranza sunnita come quello di Mansur - che quasi arriva ad Abu Ghraib – erano tra i più sicuri, mentre oggi sono spesso teatro di rappresaglie sciite. «La paura della gente ha fortemente rallentato le nostre attività. Spesso la domenica i fedeli preferiscono rimanere in casa, piuttosto che uscire per venire in Chiesa».
Padre Robert ha imparato a convivere con la paura. Nonostante in Italia gli avessero sconsigliato di tornare in Iraq. Nonostante il suo “vicino”, il parroco della Chiesa di San Giuseppe, abbia scelto di andar via dopo essere stato sequestrato per diversi giorni. Nonostante le numerosissime minacce ricevute. «In principio ero terrorizzato – racconta – qui non si può uscire, ma io non posso fare altrimenti».
La canonica della sua parrocchia è stata distrutta da un bombardamento nel 2007 e da allora il sacerdote vive nella residenza vescovile. Ogni qualvolta deve dir messa o partecipare ad attività parrocchiali è costretto a spostarsi, facendo estrema attenzione «perché sei costantemente sotto osservazione e spesso c’è anche chi controlla chi entra ed esce dalla Chiesa».
In un’occasione padre Jarjis è stato quasi raggiunto da alcuni colpi d’arma da fuoco.
«Le minacce ci cambiano, ma in ogni caso dobbiamo andare avanti».
L’estrema incertezza ha spinto il sacerdote a realizzare un programma annuale per la sua parrocchia. «Se dovesse succedermi qualcosa – spiega ad ACS – non voglio che i miei fedeli debbano ricominciare tutto da zero». Parlando delle condizioni di vita a Bagdad, il sacerdote sottolinea come «la presenza americana non abbia apportato sostanziali cambiamenti». La corrente è disponibile una o due ore al giorno e la mancanza di aria condizionata è particolarmente gravosa in una città in cui d’estate si sfiorano i 60°C.
Non è però il caldo a svuotare le strade della capitale irachena. «I miei fedeli hanno paura ad uscire e temono che ogni nostra iniziativa possa attirare l’attenzione. Come ad esempio il piccolo falò che la nostra Chiesa accende il 14 settembre, in occasione della celebrazione dell’Esaltazione della Croce», afferma don Jarijs. Eppure agli incontri organizzati da padre Robert partecipa un discreto numero di persone. Il 15 agosto per l’Assunzione di Maria il parroco ha invitato un gruppo di musicisti musulmani, diretti da un’insegnante cattolica, ad eseguire alcune litanie mariane. Il sacerdote parla ad ACS delle sue amicizie tra gli iracheni di fede islamica, ma si tratta di conoscenze di vecchia data. «Istaurare rapporti con i musulmani è più difficile ora. I musicisti hanno accettato volentieri di cantare per Maria, perché anche la loro fede riconosce l’importanza della sua figura. Ma se gli avessimo chiesto di cantare per Gesù la reazione sarebbe stata molto diversa».
Il massiccio esodo di cristiani non ha ovviamente risparmiato la parrocchia di Santa Maria Assunta in Cielo che fino a sette anni fa comprendeva circa 1600 famiglie. Oggi si contano solo 132 famiglie di fedeli, a cui se ne aggiungono 24 della vicina San Giuseppe. «A Bagdad è rimasto solo chi non ha i mezzi per andarsene. Sono le persone sono più povere, quelle che soffrono di più, ma anche le più forti nella fede».
La fede «ad Est dell’Eufrate» è stata fortificata da duemila anni di pressoché continue persecuzioni. «Perché lì dove la Chiesa perde sangue, nutre una fede più forte». La storia della Chiesa Orientale deve servire da monito per evitare di compiere gli stessi errori e per commemorare l’esempio dei martiri. Per questo nel primo numero della rivista della parrocchia, don Jarjis ha voluto inserire la biografia e gli scritti dell’arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Faraj Rahho, rapito e ucciso nel 2008.
La pubblicazione, dal titolo «Regina della Pace» è nata dall’impegno di un gruppo di giovani parrocchiani e si propone come strumento di carattere formativo. «Sono in molti che per paura non partecipano alle funzioni o alle attività – spiega il sacerdote – mentre la nostra rivista entra nelle case dei fedeli come un piccolo catechismo che contiene informazioni storiche sulla grande eredità cristiana di queste zone, ma anche poesie, preghiere e riflessioni sulle Sacre Scritture». Importante la presenza di una rubrica redatta da esponenti della comunità musulmana, dal titolo «I figli del Tigri e dell’Eufrate», e di pagine in cui dare spazio a rappresentanti di altri riti o confessioni. «Qui siamo rimasti in pochi e dobbiamo essere uniti. Per questo invito spesso alle nostre attività i fedeli ortodossi, protestanti o di altre chiese orientali».
Il primo numero di «Regina della Pace» è uscito il 15 agosto. Il prossimo non sarà pronto prima di novembre, perché la parrocchia non può permettersi di affrontare la spesa di circa 1100 euro necessari a stampare 650 copie. «Abbiamo bisogno di aiuti, non solo per la rivista, ma anche per andare avanti. Per noi il sostegno fornitoci da realtà come ACS è fondamentale».
Quello economico non è però l’unico supporto che padre Robert desidera. «Chiedo ai fedeli di tutto il mondo di pregare per noi e per tutta la Chiesa perseguitata. Anche un Gloria al Padre è sufficiente affinché la nostra Chiesa possa risorgere».
Aiuto alla Chiesa che Soffre è grande sostenitrice della Chiesa irachena. Nel 2010 il contributo dell’Opera è stato di quasi 600 mila euro, di cui 15mila destinati alle famiglie cristiane delle vittime dell'attentato nella Chiesa di Nostra Signora della Salvezza. Da segnalare inoltre le donazioni alla diocesi di Mosul, per la riparazione e il mantenimento della Chiesa di St. Paul e dell'annesso centro catechistico (25mila euro), ed alla diocesi di Zakho, per la distribuzione di pacchi alimentari di emergenza alle famiglie povere della zona per opera delle suore Caldee Figlie di Maria Immacolata (25mila euro).

Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Opera di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 nazioni.

Many Iraqis who helped the U.S. still awaiting visas

By Philly.com September 15, 2011
by Trudy Rubin

In July, I wrote about the plight of Iraqis who worked with U.S. soldiers and civilians but face death as "collaborators" when we leave. Their situation remains unresolved.
Congress set up a special program in 2008 to grant these Iraqis 25,000 special immigrant visas (SIVs) over five years. Only 3,629 have been issued thus far; at least 1,500 are pending.
Yet, some Iraqis who have virtually completed the process have been told they must wait an additional eight months while more security checks are conducted.
Senior administration officials are working to speed up the process (more about this below). But, as our troops come home and bases close, time is of the essence. Many Iraqi interpreters can no longer remain on bases where they have lived for safety; some SIV applicants are moving from house to house under death threat.
Simple decency - not to mention a moral obligation - demands we get these loyal Iraqis out before we leave their country.

Read some of the e-mails I've received from desperate SIV applicants and you'll see why:

"Ma'am: I am writing to tell you about the situation of the Iraqis who helped Americans here in Iraq. I have worked with the U.S. Army as a linguist [translator] for 17 months in Mosul, which is one of the most dangerous places in Iraq. I have been threatened by terrorists many times because of my job and I lost three members of my family as a result. I'm waiting to get the visa since March 2011.
"It's very dangerous for me to stay in Iraq; now I can't see my family, I can't finish my school, and I can't have normal life as a human because too much people in Iraq think that everyone who helped the Americans is a traitor and should be killed. Please, if you can tell anyone to find a solution for us, because if the U.S. Army leaves Iraq by end of this year, we are all going to get killed by the militias."
Yours sincerely,
Eric [his nickname]

Dear Miss: "Since the date of my SIV visa interview 31 October 2010, till now, we have got nothing. My family and me are living in very bad conditions [they had to leave their house after the bombing of churches in their Christian neighborhood.] You can imagine the view of my 15-months son when an explosion happens near our house.
"We Christians are very easy targets for anyone because nobody is defending us. We fear the imminent U.S. troop retreat that will definitely lead to big chaos in Iraq and we will be easy victims. We are hearing that it is the security check that causes all these delaying, but what security check is taking 11 months without completion?" [Especially since he has a host of relatives who are already American citizens, including his parents, two brothers, two aunts, and two uncles.]
Thank you, also from my wife Basma & Gerard (my little angel)." S.

You can read more of these e-mails on my blog (www.philly.com/worldview). The point they all make is the urgency of the situation.
One translator who helped carry out a U.S. investigation of fraud in Iraqi government ministries wrote that two attempts had been made on his life; he's had to live on U.S. bases since February for safety, but his unit is leaving. Yet, he was told in June that it will take eight to 12 months more to get his visa, despite recommendations from U.S. officers.
Senior administration officials tell me they are focused on the visa issue "at the highest level of government." They say the process has been streamlined, and personnel shifted to speed the additional security checks.
"We are working through the current backlog with a serious sense of urgency," one official told me. "We don't anticipate this will take eight months." He said there were procedures in place to expedite particularly urgent cases. "We know that the United States has a special responsibility to Iraqis who worked on our behalf."
However, none of the desperate Iraqis who've contacted me since July has had an update about their visas. One who tried to expedite his case was told, again, he'd have to wait several months. That's a potential death sentence. (I've also received e-mails about Iraqis who thought they'd been approved for SIVs and were suddenly rejected for unspecified "security reasons," no details given, no right to appeal.)
We have to rescue these Iraqis. And there's a precedent. In 1996, the United States evacuated 6,000 endangered Iraqi opposition activists from northern Iraq to Guam, then did security checks there. The British and Danes evacuated their Iraqi staff when they left southern Iraq.
Might we do the same?
"There is no plan to institute a mass evacuation," a senior administration official told me. But if our bureaucracy can't get the SIV backlog cleared before our troops leave, we must get those Iraqis out. There's only four months left.

I say: Start planning the evacuation now.

15 settembre 2011

Bishops describes plight of Iraqi Christians to EU president

By Indipendent Catholic News, September 14, 2011


The plight of Christians in Iraq has been highlighted in a meeting between two leading bishops from the country and the President of the Council of Europe, Hermann Van Rompuy.
In their meeting with Mr Van Rompuy on Tuesday, 13 September, Archbishops Bashar Warda of Erbil and Amil Nona of Mosul said there was no religious freedom in Iraq.
The two Chaldean-rite bishops stressed the need for Christians to receive help to build schools, saying that with Muslims filling 90 percent of places available, Church-run education schemes benefitted the whole of society.
Archbishop Warda said: "Education would help to develop a new culture as well as freedom of religion, opening up new perspectives for young people."
The half-hour meeting in Brussels took place in the framework of visits organised by Aid to the Church in Need.
During the discussions, Mr Rompuy asked about people's living conditions in Iraq, women's rights and how Europe could help. Both bishops have given bold witness to the suffering of Christians and others in Iraq.
Christians and church buildings in Archbishop Nona's Archdiocese of Mosul have come under repeated attack and his own predecessor, Archbishop Boulos Faraj Rahho died in captivity in March 2008.
Speaking in March in London at the launch of Aid to the Church in Need's 'Persecuted and Forgotten?' report on oppressed Christians, Archbishop Warda stated that since 2003 up to 500 Christians had been killed for specifically religious or political reasons.
He added that over the same period 66 churches had been attacked and that 4,000 Iraqi Christian families had fled to his diocese of Erbil in Kurdish northern Iraq to escape violence and intimidation.
In the meeting with Mr Van Rompuy, both bishops highlighted human rights concerns stemming from Article Three of Iraq's constitution, which enshrines the supremacy of Islamic Shari'a law.
Archbishop Warda said: "Article Three of Iraq's constitution grants primacy to Islamic Shari'a law – no legislation is permitted to violate the Shari'a."
The bishops also met Members of the European Parliament (MEPs), European Union Commission officials and Hans-Gert Pöttering, the former President of the European Parliament and present Chairman of the Konrad Adenauer Foundation. The meetings demonstrate the EU's growing concern about Christians in the Middle East.

14 settembre 2011

Dossier sur les chrétiens d'Irak

By Baghdadhope*

L'hebdomadaire La Vie a publié pendant tout l'été un dossier sur le périple de l'association Fraternité en Irak et sur
la situation des chrétiens dans ce pays.
Sélectionnez les articles que vous voulez lire en cliquant sur les titres.

Qaraqosh, une ville chrétienne dans la région de Mossoul

Anne-Claire Tranchant - publié le 17/08/2011

Du prophète Nahum à Mar Behnam

Anne-Claire Tranchant - publié le 17/08/2011

A la découverte des saints qui ont fait l'Eglise d'Orient

Anne-Claire Tranchant - publié le 17/08/2011

"Une bombe a explosé à côté de mon bus"

Anne-Claire Tranchant - publié le 12/08/2011

Qaraqosh, première ville chrétienne d'Irak

Hubert Montfort - publié le 12/08/2011

Les Yézidis, ces hommes "qui adorent Dieu et respectent Satan"

Hubert Montfort - publié le 12/08/2011

A la découverte du père Gabriel, l’ange de Ninive

Hubert Veauvy & Hubert Montfort - publié le 12/08/2011

Emigration ou repli communautaire?

Hubert Montfort - publié le 10/08/2011

Cris de joie dans les montagnes du Kurdistan

Les bouleversants témoignages des réfugiés de Sulaymania

"L'exil n'est pas la solution"

Hubert Montfort - publié le 04/08/2011

Une église de Kirkuk détruite par une voiture piégée

Rencontre avec les chrétiens du village de Seikanian

A Kirkuk, les chrétiens persécutés veulent promouvoir le dialogue interreligieux

Une association française part soutenir les chrétiens d'Irak

Raphaëlle Autric - publié le 29/07/2011

"Je pars aider les chrétiens en Irak"

Marie-Lucile Kubacki - publié le 28/07/2011

Table-ronde: «Les origines apostoliques des Églises anciennes»

Cinquième Table-ronde d’EEChO :

vendredi 16 septembre à 19 h 15

à Paris 15e, église Saint Christophe de Javel

(28, rue de la Convention, ou plutôt entrée par le

4 rue St Christophe – métro Javel)


Plusieurs représentants ou chercheurs, liés à six Communautés ecclésiales de la région parisienne, nous présenteront un tour d’horizon des connaissances actuelles :
le Père Jean Habil, de l’église syriaque ;

le Père Zedingle Nurbegin, de l’église éthiopienne ;
le Père Joseph Stefanos, de l’église copte ;
le Père Davrichachvili, de l’église géorgienne ;
le Père Georges Assadourian, de l’église arménienne ;
Monsieur Pierre Perrier qui se centrera sur la première évangélisation de la Chaldée (Irak).

Los cristianos perseguidos apelan a la UE: "No tenemos libertad religiosa en Iraq"

By HazteOir.org, 14/09/2001

Los obispos iraquíes denuncian la situación en su reunión con Van Rompuy en Buselas, promovida por
AIN.
El presidente del Consejo Europeo se preocupa por la ayuda que puede ofrecer a la minoría cristiana perseguida.

“En Irak no existe libertad religiosa”.

Esta es la principal denuncia que han realizado dos obispos iraquíes al presidente del Consejo Europeo,
Hermann van Rompuy, con el que han mantenido un encuentro recientemente en Bruselas auspiciado por Ayuda a la Iglesia Necesitada (AIN). En la reunión han participado el Arzobispo de Erbil, Bashar Matti Warda, y el Arzobispo caldeo de Mosul, Emil Nona.
El presidente del Consejo Europeo ha trasladado a los obispos iraquíes el creciente interés que está suscitando en las instituciones de la Unión Europea la situación y el futuro de los cristianos en los lugares donde sufren algún tipo de persecución y, de forma especial, en Oriente Próximo.

De hecho, en febrero de 2011, la Unión Europea condenó la persecución y los ataques que sufren los cristianos en muchos lugares del mundo. En esa declaración, los Veintisiete reconocían que la libertad religiosa es un derecho fundamental de todos los seres humanos que debe ser protegido
"en todas partes".
Para los responsables de Exteriores de los países miembros de la UE, es responsabilidad de las autoridades nacionales
"proteger a sus ciudadanos, incluyendo a los que pertenecen a minorías religiosas", así como a aquellas personas que se encuentran "bajo su jurisdicción".
Van Rompuy, en la reunión con los obispos iraquíes, se ha interesado también por las circunstancias en que viven las familias cristianas iraquíes, por la situación de la mujer en el país, por el futuro de los cristianos en la antigua Mesopotamia, por la protección de los refugiados y por cómo podría ayudar Europa.

Los obispos expresaron su deseo de que los cristianos reciban ayudas para la construcción de escuelas, lo que redundaría en beneficio de toda la sociedad iraquí. Según los arzobispos Warda y Nona, el noventa por ciento de los niños que acuden a escuelas cristianas proceden de familias musulmanas.

Sobre la situación legal, trasladaron al mandatario europeo que el artículo 3 de la Constitución iraquí concede una especie de primacía al derecho islámico, ya que ninguna ley puede contravenir la sharia (ley islámica basada en una interpretación fundamentalista del Corán).

La reunión, de media hora de duración, tuvo lugar en el marco de un programa de visitas organizado por iniciativa de la asociación católica internacional Ayuda a la Iglesia Necesitada. Los obispos mantuvieron conversaciones también con varios eurodiputados y con el antiguo presidente del Parlamento Europeo y actual Presidente de la Fundación
Konrad Adenauer, Hans-Gert Pöttering, así como con importantes funcionarios de la Comisión Europea.
Iraq es uno de los países prioritarios para AIN. Durante 2010, se destinaron 567.697 euros para ayudar a las comunidades católicas que se mantienen en el país, a pesar de las hostilidades que sufren por parte de grupos radicales. Desde el inicio de la guerra, miles de caldeos iraquíes han tenido que salir del país.

12 settembre 2011

Frattini: Si rischia dilagante cristianofobia

By ASCA, Monaco di Baviera, 12 set. 2011


Una lode alla Turchia per aver restituito alle comunita' religiose le proprieta' confiscate dai precedenti governi di Ankara. Il ministro degli esteri Franco Frattini intervenuto in serata al convegno interreligioso della Comunita' di Sant'Egidio in corso a Monaco di Baviera ha promosso con grande calore la politica del premier turco Erdogan.
Poi ha denunciato tuttavia che ''in varie zone del mondo sta dilagando una crescente cristianofobia''.''Abbiamo percepito per anni il timore concreto di una diffusa islamofobia. Ma cio' che dilaga oggi e' piuttosto una crescente cristianofobia''.
Frattini ha fatto riferimento all'Iraq, alla Nigeria e al Pakistan, dove ''la voce dei cristiani rischia di spegnersi''. Per il ministro italiano ''sarebbe un danno irreparabile, una catastrofe per la ricchezza di quei territori, per la causa della liberta' e per le speranze di pace del mondo''.

9 settembre 2011

Irak: Les archevêques de Mossoul et d’Erbil pessimistes sur le sort des chrétiens d’Irak

By Collectif VAN 08-09-2011

Les musulmans convaincus de la supériorité de leur religion
Bruxelles, 7 septembre 2011 (Apic) Les chrétiens sont aujourd’hui encore pourchassés à l’intérieur de l’Irak, et le reflux de nombre de chrétiens irakiens réfugiés en Syrie suite aux graves troubles que connaît ce pays les met dans une situation dramatique. Dans des villes comme Mossoul et Bagdad, les chrétiens sont toujours en danger de mort, affirme Mgr Emil Nona, archevêque chaldéen de Mossoul.
Mgr Emil Nona participait mardi soir 6 septembre à Bruxelles, en compagnie de Mgr Bashar Warda, archevêque chaldéen d’Erbil, à une manifestation organisée par la Commission des Episcopats de la Communauté européenne (COMECE).

Les musulmans disposés au dialogue n’ont aucune influence
Au cours de la réunion de la COMECE, tant Mgr Nona que Mgr Warda ont relevé qu’un dialogue avec l’islam, tel qu’ils le vivaient sur place, n’était pas possible. Les partenaires musulmans à ce dialogue sont fondamentalement convaincus de la supériorité de leur religion. Et ceux qui seraient prêts à discuter avec les chrétiens n’ont aucune influence au sein de la communauté musulmane, déplorent-ils.
En raison des troubles qui paralysent la Syrie depuis quelques mois, les chrétiens irakiens réfugiés dans le pays voisin reviennent, mais ils sont désormais des sans-abri en Irak.
Dans l’archidiocèse de Mossoul, a déclaré Mgr Nona, le nombre de chrétiens est passé depuis 2003 – date de l’invasion américaine de l’Irak – de 30’000 à 13’000 aujourd’hui. Celui qui en a les moyens, essaie de fuir et de s’installer à l’étranger, en particulier en Europe, tandis que d’autres se réfugient dans les régions septentrionales du pays, au Kurdistan irakien.

Manque de perspectives au Kurdistan
Dans la région autonome du Kurdistan, les chrétiens ne sont certes pas en danger de mort comme à Mossoul, mais la sécurité, tant du point de vue social qu’économique, fait défaut. Dans cette région, le nombre des chrétiens est passé depuis 2003 de 5’000 à 28’000. L’Eglise est pour ces réfugiés la seule instance qui les aide dans tous les domaines, que ce soit pour les questions de logement, de places de travail, ou pour les soins médicaux.
Cette situation place les agents pastoraux devant d’énormes tâches, ont souligné les deux prélats irakiens. Plusieurs fois dans leur vie, nombre de ces chrétiens ont tout perdu: cela vaut pour la génération de ceux qui ont été chassés des villages chrétiens du Kurdistan du temps de Saddam Hussein, et qui y retournent pour fuir la violence dans les autres parties de l’Irak où ils s’étaient réfugiés à l’époque.
Les deux archevêques chaldéens ont appelé les membres de la minorité chrétienne à les aider à mettre sur pied des institutions, comme des jardins d’enfants, des écoles et des universités.
Mgr Nona et Mgr Warda relèvent que ces institutions créent des places de travail mais contribuent également à faire de cette petite minorité une forte communauté. (apic/kap/be)

2 settembre 2011

Jordan: Iraqi refugees going to school with help from Christians

By Spero News, Friday, September 02, 2

The Jesuit Refugee Service Jordan marked its third anniversary in the country with thirteen graduation ceremonies for students in its informal education project, held in the capital, Amman, in late July.
More than 280 students, comprising refugees mainly from Iraq, a small number from Palestine and Sudan, and a smattering of marginalised Jordanians, received their certificates.
The JRS non-formal education project is located at the Greek Melkite School in Ashrafiyeh, Amman. Each year the school provides classes to over 1,400 refugees. On a daily basis, 350 students attend classes for three hours from Monday to Thursday.
The graduation ceremony coincided with a visit to the region by the International Director, Peter Balleis SJ.
In a brief opening speech at the ceremony, commenting on the development of the Amman project, he said he was impressed with how much the school had grown and how much the true sense of family had emerged since its inception in the summer of 2008.
"I'm grateful for the English skills I've learned at the JRS school, but I'm more grateful for the sense of community I've found", explained one of the students, who recently got a job at the US Embassy in Amman as a English-Kurdish translator.

Building inclusive communities
"Iraq won't be rebuilt by the elite; today's ceremony was a representation of what Iraq could be one day", JRS Jordan Director, Colin Gilbert said enthusiastically as he raised his voice to be heard above the vibrant dabke folk music to which everyone was dancing.
"Today's ceremony was a mixture of people from different religions and social classes; eating, sharing their accomplishments and celebrating together. There was a very strong sense of belonging, one that gives me hope for the future re-establishment of a peaceful society in Iraq one day", he added.
More than 70 percent of the students are between 15-70 years of age and participate in the English language and computer courses. The curriculum also includes art, music, and English language classes for 8-15 year olds and a kindergarten for 3-7 year olds. In terms of gender, 60 percent of the students are female.
The fourteenth cycle of informal education courses begins in early September and lasts until November 2011.
This time more students have enrolled than ever before.