"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

7 marzo 2018

Cristiani, musulmani e laici: Al patriarca Sako il Nobel per la pace


Ricevere l’eventuale premio “non è importante”; quello che conta “è il valore simbolico del gesto”, che aiuta a “mantenere viva l’attenzione sul popolo irakeno, sulla comunità cristiana” ancora oggi vittima di attacchi e operare “per il futuro del Paese”.
È quanto dice ad AsiaNews il primate della Chiesa irakena mar Louis Raphael Sako, commentando la sua candidatura al Premio Nobel per la pace 2018. “Nel recente incontro con papa Francesco - aggiunge - ho chiesto un sostegno morale e spirituale, che è ciò di cui abbiamo bisogno. Questa proposta si inserisce proprio in questo solco e rappresenta un contributo straordinario per vincere l’emarginazione e l’indifferenza verso le sofferenze della nostra e di altre minoranze”. 
Personalità religiose, intellettuali e della società civile in Iraq e nel mondo hanno aderito all’iniziativa, riconoscendo l’opera a favore della pace, della convivenza, della riconciliazione del primate della Chiesa caldea, prima da vescovo e oggi da patriarca. Un compito essenziale, in una nazione ancora oggi segnata da violenze, conflitti interni e divisioni settarie. 
La candidatura è stata presentata a fine gennaio dall’associazione cattolica L’Œuvre d’Orient ed è stata accettata dal comitato norvegese che presiede all’assegnazione del Nobel. A sostenerla un gruppo di persone, in Iraq e nel mondo (soprattutto in Francia, dove il patriarca Sako ha creato nel tempo forti legami di amicizia e collaborazione con prelati e ong cattoliche e non), cristiane e musulmane che ne esaltano l’opera a favore della pace e della convivenza. 
In particolare, all’interno della comunità musulmana, si è creato un fronte unito che lega sciiti di Najaf (in Iraq) con leader sunniti in Giordania e Libano che ne hanno sostenuto con forza la candidatura. Anche questo è un ulteriore segno dell’opera della Chiesa irakena, e del suo vertice, quale ponte con le altre religioni. 
“È bello vedere che anche i musulmani - afferma mar Sako - hanno sostenuto la mia candidatura. Anzi, direi che sono proprio loro ad averlo fatto con maggior vigore e questo è ancor più importante. Rappresenta un segno di vicinanza e apre le porte dell’Iraq al progresso e alla democrazia”. La scorsa settimana, prosegue, il patriarcato caldeo ha organizzato un incontro interreligioso che ha rappresentato una “enorme fonte di coraggio e di speranza. Nei prossimi giorni andrò a Najaf [una delle città più sacre dell’islam sciita] per tenere un discorso. Questo non è per me, ma per tutto l’Iraq e per il bene del suo popolo”. 
Il 31 gennaio del 2013 l’allora arcivescovo di Kirkuk mons. Sako veniva eletto nuovo patriarca caldeo, succedendo a Emmanuel Delly III dimissionario per raggiunti limiti di età. Nato il 4 luglio del 1948 a Zakho, nel nord dell'Iraq, è stato ordinato sacerdote il 1 giugno del 1974. Da presule prima, quindi da primate della Chiesa irakena, egli ha più volte denunciato l’esodo dei cristiani dal Paese e lanciato numerosi appelli all’esecutivo centrale e alle autorità locali, per garantire un futuro di pace nella terra di origine. 
“La nostra speranza è che questa candidatura compia completi il suo iter - sottolinea ad AsiaNews l’arcivescovo di Kirkuk mons. Yousif Thoma Mirkis - e possa concludersi in modo positivo”. Questo premio, aggiunge il prelato, rappresenterebbe “un riconoscimento non solo alla sua persona, ma a tutti i cristiani d’Iraq e del Medio oriente che, in questi anni, hanno sempre lottato in modo duro, fermo, ma al tempo stesso pacifico per la pace, i diritti umani, la convivenza e lo sviluppo nel Paese”.
Il Nobel per la pace a mar Sako, prosegue mons. Mirkis, costituisce inoltre un premio alla memoria “dei martiri della Chiesa caldea come mons. Rahho e altri, sacerdoti e laici, che hanno sacrificato la propria vita a causa della fede”. “Per noi cristiani del Medio oriente - conclude il prelato - sarebbe un gesto importante e significativo, perché valorizza il sacrificio di una comunità millenaria che ha scelto di restare nella propria terra nonostante le persecuzioni, l’ultimo dei quali Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico, ex Isis] che ha costretto centinaia di migliaia di famiglie a fuggire, convertirsi o venire uccise”.
Gli fa eco Bernard Cazeau, senatore francese ed esponente del Partito socialista, il quale sottolinea che il patriarca Sako “incarna” il dialogo fra fedi ed è “rispettato” da musulmani, yazidi, sabei, da religiosi e atei, per “l’onestà, la sincerità, la semplicità, la generosità”. Egli aggiunge che la candidatura ha ricevuto l’adesione di 125 senatori e 115 deputati del Parlamento transalpino ed è un riconoscimento per la sua opera a favore di emarginati e vittime di violenze, non solo cristiani.