"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

13 novembre 2017

«Il mondo dia sicurezza alle minoranze a Ninive»

By Avvenire
12 novembre 2017
Luca Geronico

«Il primo problema per chi ritorna è la fiducia. I cristiani sono stati martoriati e gli yazidi hanno lo stesso problema e forse sono ancora più abbandonati perché non hanno un retroterra in Occidente, dove potersi rifugiare», osserva Mario Giro. «L’unica vera risposta – prosegue il viceministro degli Esteri – è che la comunità internazionale se ne faccia carico mentre oggi, comprensibilmente, è ancora preoccupata dalla guerra contro il Califfato e di quanto accade nella vicina Siria. Ancora non c’è un vero programma globale, nemmeno dell’Onu, di “replacement” di tutte queste persone protette ed accompagnate». Una “protezione internazionale”, invocata come un mantra per tre anni dai caldei e dei siro-cattolici sfollati a Erbil, Dohuk e nel resto del Kurdistan iracheno. «È quello che ci vuole, e il più rapidamente possibile. L’Italia lo desidera e non vede altra possibilità: se no se ne dovranno andare tutti». È come un appello la riflessione di Giro che prosegue: «Immagino il dilemma di un capofamiglia cristiano o yazida in questo momento. Una triste realtà da cui non si sfugge senza un sistema internazionale ». Un rientro fra incertezze e paure per chi, in 3 anni di attesa, non ha tentato di emigrare in Occidente o in Australia.
Un rientro quasi obbligato da quanto, fra settembre e ottobre, la diocesi di Erbil non ha più pagato gli affitti per le case agli sfollati. Dismessi pure i campi profughi tranne quello di “Ankawa 2”: ora accoglie solo 150 famiglie cristiane fuggite da Mosul che non si fidano ancora a rientrare. Per gli altri nessuna casa e nemmeno istruzione ai figli: il governo ha chiuso a Erbil le scuole per i profughi e, trasferiti gli insegnanti, iniziato una riapertura a singhiozzo dei corsi nella Piana di Ninive. Impossibile avere una contabilità esatta dei rientri: da Erbil sono ripartiti circa 25mila cristiani a cui si devono aggiungere quelli delle altre province del Kurdistan. Per prima cosa i cristiani chiedono ai sacerdoti già residenti la benedizione della casa, scampata alla distruzione: infissi riparati con mezzi di fortuna e una ripassata di bianco su mura nere di fumo con i mobili devastati accatastati in giardino. Benedizione di una abitazione che spesso è presa in affitto, a prezzi di favore, perché metà delle case sono state devastate. Per 2.500 famiglie cristiane di Qaraqosh – circa 20mila abitanti quando nel 2015 erano più del doppio – questo è il ritorno a Ninive. Ancora più incerto il rientro nei centri più piccoli come Bartalla e Bashiqa, ancora più indifesi e in buona parte rasi al suolo.
Tutto questo in una Piana di Ninive in cui si scontrano – come faglie telluriche – le tensioni fra curdi e iracheni, l’irredentismo jihadista sunnita e, da ultimo, le milizie sciite filo iraniane. «Tutto ciò che accade nel nord dell’Iraq può compromettere un ripristino della vita, già difficilissimo da progettare dopo anni e anni di guerra», spiega il viceministro Mario Giro. La sconfitta, politica e militare, del progetto autonomista curdo ha indebolito chi «si era impegnato, con un interesse non solo umanitario, a difendere le minoranze». Un Kurdistan umiliato e ora diviso, che vive in queste settimane la decisiva resa dei conti con Baghdad, a cui l’Italia ha dato un grande sostegno nell’addestramento militare dei peshmerga: «Continua ora la nostra funzione di mediazione e pacificatrice: tutto ciò che ritarda la costruzione della convivenza è negativo. Rispettiamo molto quello che i curdi hanno fatto, spesso soli, davanti all’avanzata del Daesh. Ora dobbiamo aiutarli a ricucire una convivenza, ma questo riguarda veramente tutti in Iraq», pure i sunniti e gli sciiti in tutto l’Iraq, afferma Giro. 
Ma oltre che la fiducia «ora mancano le condizioni per ritornare», prosegue il viceministro. Molti progetti di Ong, dopo che Baghdad ha chiuso le frontiere e limitato i visti, sono bloccati. Ma l’impegno della Cooperazione italiana prosegue: ricostruzione delle infrastrutture (elettricità, acquedotti, scuole) e le abitazioni nella Piana di Ninive per 1,5 milioni di euro a cui si aggiunge un intervento di 1 milione di euro nei campi profughi di Dohuk a sostegno delle vedove e degli orfani delle vittime del Califfato o delle “schiave del sesso” fuggite. «La situazione è molto delicata, può cambiare di momento in momento: il nostro non è ancora un grande investimento ma volevamo essere tra i primi a lavorare per la ricostruzione concreta », spiega il viceministro.
La Piana di Ninive e i cristiani come “cartina di tornasole” di una convivenza ancora possibile in Iraq e in Medio Oriente. «Significativo che dei musulmani vogliano restaurare a Mosul la seconda chiesa più grande di Iraq. Chi vuole la convivenza vuole pure che i cristiani rimangano », conclude Mario Giro.
Per scacciare i demoni del passato: il premier iracheno Abadi ieri ha annunciato una controffensiva nell’Anbar per sgominare le ultime sacche di resistenza del Daesh. Ma poco oltre il confine siriano i jihadisti hanno ripreso Abu Kamal, «liberata » tre giorni fa.
Demoni pronti a tornare.