"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

3 aprile 2017

Mosul, la Chiesa in aiuto di migliaia di profughi musulmani. Mar Sako: uniti contro Daesh


“Abbiamo detto loro che vogliamo restare uniti, che vogliamo aiutarli, che non siamo infedeli… ‘Kuffar’ [miscredenti]. Ecco, dobbiamo insistere su questa parola, devono capire che non siamo infedeli”. È quanto afferma ad AsiaNews il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, dopo aver visitato due campi profughi alla periferia di Mosul, uno dei quali accoglie solo famiglie musulmane, e aver distribuito aiuti e denaro raccolto dalla Chiesa irakena nelle scorse settimane. “Queste persone - prosegue sua beatitudine - hanno risposto che sono quelli dello Stato islamico (SI) i veri ‘kuffar’, i miscredenti che hanno macchiato il nome dell’islam”.
Questa mattina il primate caldeo ha varcato le porte del campo profughi di Hammam al Halil, situato a circa 15 minuti dalla periferia di Mosul, metropoli del nord e roccaforte dello SI in Iraq, dove sono ospitati 25mila profughi musulmani. A nome dei cattolici irakeni, il patriarca ha consegnato aiuti per circa 3mila persone.
A seguire, la delegazione della Chiesa irakena ha visitato un secondo campo profughi, a 20 minuti di distanza da Mosul, nel quale sono ospitate almeno 11mila persone, fra cui cristiani. Anche in questo caso sono stati distribuiti aiuti per un migliaio di famiglie, oltre che denaro contante per l’acquisto di medicinali e altri generi di prima necessità.
“I due campi profughi - racconta ad AsiaNews mar Sako - si trovano poco distanti da Mosul. Avremmo voluto spingerci sino alla periferia della città e vedere di persona la situazione. Tuttavia, non abbiamo potuto farlo perché sono in corso bombardamenti e pesanti scontri” fra esercito irakeno e milizie jihadiste arroccate nel settore occidentale.
A febbraio i governativi sono riusciti a cacciare i miliziani di Daesh [acronimo arabo per lo SI] dalla zona est di Mosul, alla destra del Tigri, dopo mesi di combattimenti intensi. L’offensiva è iniziata il 17 ottobre e sono serviti quasi cinque mesi per vincere la resistenza jihadista nell’area. Ora l’obiettivo è di assumere il completo controllo della seconda città per importanza del Paese, anche se resta prioritario il problema della sicurezza dei civili coinvolti nell’offensiva.
Nella Città Vecchia di Mosul, nel settore occidentale, sorgono le più antiche chiese di tutto l’Iraq e alcuni dei più importanti monasteri. Edifici che risalgono al quinto, sesto, settimo secolo dopo Cristo e che costituiscono un vero e proprio patrimonio non solo religioso, ma anche storico e culturale per il Paese.
L’offensiva militare in atto ha causato nella sola zona ovest almeno 4mila vittime e la distruzione di 10mila abitazioni, in quella che molti attivisti e religiosi locali definiscono “una vera e propria tragedia”. Sono i nuovi profughi, le ultime vittime dell’offensiva, che si vanno ad aggiungere agli sfollati della prima ora. In tutto il Paese vi sono circa 3,5 milioni di sfollati, e il numero è destinato a salire considerando che vi sono ancora 400mila persone a Mosul ovest.
Descrivendo la situazione del campo profughi di Hammam al Halil, mar Sako parla di una “situazione terribile, di persone a terra, uomini e donne che soffrono e disperano”. “Noi siamo venuti qui - prosegue il patriarca caldeo - per dire loro che siano vicini, per mostrare loro la nostra solidarietà, che crediamo nello stesso Dio. Questi profughi ci hanno detto di tornare a Mosul, che senza i cristiani non è la stessa città”. Lasciando il campo profughi alle spalle, il patriarca caldeo racconta di aver visto arrivare “altri quattro pullman con a bordo” decine di famiglie tuttora in fuga dalle violenze che si stanno consumando a Mosul. “Bisogna ricostruire la fiducia - conclude mar Sako - salvare il mosaico religioso, etnico e culturale irakeno. E sono gesti come questi che aiutano a ricostruire la fiducia, che servono a risollevare persone che si sentono umiliate, a terra”.