"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

18 aprile 2017

In Iraq in marcia per la pace

Luca Attanasio

«Stavo riflettendo da tempo su una iniziativa simbolica per educare la gente alla pace e al dialogo, così, d’accordo con i miei collaboratori e una donna tedesca di origini greche che ha già esportato nel mondo progetti simili, ho pensato di lanciare la Marcia Interreligiosa della Pace». Il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako, spiega così a Vatican Insider la genesi della originale manifestazione voluta dal suo patriarcato per dimostrare unità e desiderio di convivenza al di là di guerre e divisioni etnico-religiose: un cammino interconfessionale tra i villaggi della Piana di Ninive che «unisse idealmente tutti i popoli della terra nell’attesa della resurrezione dell’Iraq»La scorsa Domenica delle Palme, al termine della liturgia di apertura della Settimana Santa, 40 pellegrini di varie nazionalità, religioni e confessioni - divenuti un centinaio lungo i circa 150 chilometri di percorso - sono partiti da Erbil alla volta di Alqosh, armati di rami di ulivo, zaini e la speranza di trascorrere una Pasqua finalmente di pace. Nel corso di tutta la settimana santa, hanno attraversato a piedi la martoriata area del nord dell’Iraq, fermandosi in varie tappe e arrivando a lambire Mosul, l’antica Ninive, zona di presenza cristiana da millenni.
 
Secondo la tradizione, infatti, da queste parti si è spinto San Tommaso che con un ristretto gruppo di discepoli, fondò la prima comunità in Assiria. Nell’antichissima chiesa omonima - Mar Toma - sono conservate le sue reliquie.  Dalla caduta di Saddam Hussein, la storica, pacifica convivenza tra le popolazioni locali che annoverano etnie diverse e seguaci di varie fedi – curdi, arabi, islamici, yazidi, mandei – ha segnato una brusca interruzione. Prima che i villaggi finissero definitivamente nelle mani dello Stato Islamico, i cristiani e le minoranze dell’area hanno subìto massacri, durissime repressioni, violenze di ogni genere uniti a continue pressioni ad allontanarsi. 
«È stata un’occasione meravigliosa per diffondere un senso di pace e unità e ritrovare quello spirito di coabitazione che mancava da tempo - dichiara soddisfatto mar Sako -. Penso che la Marcia sia stata un simbolo e che avrà un impatto molto forte su tutto l’Iraq. Tanti pellegrini hanno camminato per 150 chilometri insieme, tra essi molti cristiani caldei, cristiani occidentali, siriaci, musulmani e yazidi. Nel corso della marcia, hanno incontrato uomini e donne di ogni confessione religiosa, in maggioranza islamici, e tutti sono stati accolti come fratelli e sorelle il cui unico desiderio è la pace in Iraq».
Nella giornata di giovedì 13 aprile, il  patriarca ha raggiunto i pellegrini e ha  celebrato la messa in Coena Domini nel villaggio di Mella Baruan dove negli ultimi mesi hanno cominciato a far ritorno un centinaio di famiglie. In questo luogo che sta ritrovando la forza di ricostruire e ripartire, Sako ha lavato i piedi a dodici persone, tra cui islamici e yazidi, e colto l’occasione per richiamare tutti all’incontro sincero: «Nell’omelia ho detto che oltre a sminare i villaggi (la zona è disseminata di mine anti-uomo, ndr), bisogna sminare il cuore e la mente. Bisogna uscire tutti definitivamente dalla logica di Daesh, secondo cui il seguace di un’altra religione o confessione è un infedele. Ecco, diciamo basta una volta per tutte alla logica dell’infedele».
L’ultima tappa della marcia si è svolta a Telleskof, nei pressi di Alqosh, un villaggio preso dall'Isis e liberato due anni fa senza che però vi si potesse fare ritorno a causa della prossimità delle truppe jiahdiste. «Solo due mesi fa – spiega padre Thabet Yousif Mekko, parroco di Karemles, una cittadina a poca distanza da Mosul – hanno potuto finalmente tornare a Telleskof oltre 300 famiglie, un segno di grande speranza. Le case erano distrutte ma la Chiesa caldea ha provveduto alla ricostruzione. L'esercito iracheno ora è presente nell’area ed è stato siglato un accordo per iniziare la ricostruzione a partire dal 24 aprile anche in città come Bashiqa o Bartella. Il 24, se almeno sarà stata allacciata la corrente elettrica, spero di poter celebrare la prima messa da anni nella chiesa di San Giorgio». 
«Noi cristiani – conclude il patriarca abbiamo sofferto moltissimo negli ultimi anni, ma dobbiamo evitare di esagerare le dimensioni di questa sofferenza. Ci sono gruppi come gli yazidi che sono stati sterminati, le violenze sulle loro donne sono state terribili. A Mosul, poi, ci sono stati 4mila morti e 10mila case distrutte, e i cristiani, a confronto di altri gruppi, hanno certamente subìto meno danni. Se poi andiamo a valutare i 4 milioni di rifugiati nei campi profughi, i cristiani sono pochissimi. Non voglio certo fare una classifica della sofferenza, dico questo per evitare strumentalizzazioni che non avrebbero altro risultato che peggiorare la situazione già molto grave».