"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

1 febbraio 2017

Ninive: torna la prima famiglia caldea. Patriarca Sako: segno di “speranza”

By Asia News
Joseph Mahmoud

Rispondendo all’appello lanciato a più riprese nel recente passato dal patriarca caldeo, mar Louis Raphael Sako, ieri 30 gennaio la comunità cristiana irakena ha celebrato il primo ritorno di una famiglia cristiana a Teleskuf (Pian di Ninive). Un evento storico, perché segna il ritorno dei cristiani in una delle tante cittadine della piana di Ninive, nel nord del Paese, cadute nelle mani dello Stato islamico (SI) nell’estate del 2014. Un periodo buio caratterizzato da morte, distruzione di chiese e di case, centinaia di migliaia di fedeli in fuga che, solo negli ultimi mesi, ha registrato una inversione di tendenza con l’inizio dell’offensiva dell’esercito irakeno e delle milizie curde. 
Interpellato da AsiaNews il primate caldeo ha manifestato “gioia” e “soddisfazione” per questo evento; mar Sako auspica che sia solo la prima di molte famiglie che possono infine abbandonare i campi profughi di Erbil e del Kurdistan irakeno, per fare rientro nelle loro terre, nelle loro case. 
Il patriarca spiega che la prima famiglia a essere rientrata a Teleskuf - nel maggio scorso teatro di un attacco jihadista avvenuto dopo la liberazione dell’area - è formata da sei persone. Il capofamiglia,  Naòiq Quliaqus Atto, la moglie e tre figli. A questi si aggiunge anche il fratello dell’uomo.
“Sono tornati nella loro casa - conclude mar Sako - dopo aver trascorso due anni e mezzo come sfollati in un centro a Dohuk. A accogliere la famiglia vi era il sacerdote locale, p. Salar Bodagh, responsabile del comitato di ricostruzione. Questo è davvero un segno di speranza per molti altri”.
Dopo le gravi e sistematiche violenze compiute dai jihadisti dello SI, nelle ultime settimane [l’area orientale liberata di] Mosul e i villaggi della piana di Ninive hanno avviato un lento processo di ritorno alla normalità. Per consentire il pieno rientro degli sfollati bisogna ricostruire le case e mettere in sicurezza i terreni, disseminati di mine dai jihadisti prima della fuga. 
Da qui i ripetuti appelli del patriarca alle autorità e ai leader internazionali perché si proceda davero a un’opera di ricostruzione in una prospettiva di unità e pluralismo fra le diverse anime che popolano la regione, sia a livello di fede che di etnia. E ancora, l’auspicio che Mosul e Ninive possano essere, nel futuro, un vero modello di vivere comune e di libertà religiosa. 
Nei giorni scorsi il patriarcato caldeo ha elaborato un elenco delle cittadine della piana di Ninive liberate dall’esercito irakeno (Qaraqosh, Karamleis, Bartella e Tilkeif) e quelle liberate dai Peshmerga curdi (Teleskuf, Batnaya, Baqofa). Secondo un censimento del 1987, in Iraq vi erano 1,264 milioni di cristiani, oggi ridotti a poco meno di 500mila. In particolare, a Mosul e nella piana prima dell’ascesa dello SI vi erano circa 130mila fedeli; oggi meno di 90mila, di cui 40mila hanno lasciato l’area in seguito a persecuzioni e dislocamento. 
Per mar Sako, che ieri ha bollato come una “trappola” la scelta del presidente Usa Donald Trump di chiudere le porte agli ingressi per sette Paesi della regione, mantenendo una “via preferenziale” per i cristiani, è essenziale restituire la regione a una vita normale. Questo può avvenire assicurando il rifornimento di acqua, sistemando le strade, ricostruendo ospedali, scuole e luoghi di culto. Ogni famiglia deve essere aiutata nell’opera di ricostruzione delle case; fondamentale, infine, il bisogno di garantire la sicurezza di quanti si impegnano a far rivivere la regione.