"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

16 settembre 2013

L’islam aspetta ancora il suo Martin Luther King

by Sandro Magister

La mite fermezza di Benedetto XVI nel dialogare con l’islam sembra lasciare il passo, con il successore, a una separazione di ruoli.
Le parole miti a papa Francesco. Le parole ferme ai suoi luogotenenti, posto che ne abbiano il coraggio.
I capitani coraggiosi che nei giorni scorsi si sono espressi con fermezza rivolgendosi a dei musulmani sono stati due: il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e l’arcivescovo Giorgio Lingua, nunzio apostolico  in Iraq e in Giordania.
L’hanno fatto entrambi nel corso di un summit sulla condizione dei cristiani in Medio Oriente, promosso ad Amman il 2 e 3 settembre dalla monarchia hascemita.
Il cardinale Tauran ha detto:
“Il dialogo interreligioso deve essere condotto in modo credibile. Come è possibile infatti parlare di dialogo positivo quando da una parte si parla e dall’altra si lanciano bombe nelle chiese in cui si svolgono funzioni liturgiche? È necessario che i leader musulmani siano più ‘outspoken’, più diretti, nel denunciare questi atti terroristici compiuti da loro correligionari”.
E ancora:
“Noi possiamo fare delle belle dichiarazioni, però non siamo ancora riusciti a far passare a livello legislativo e di regolamenti amministrativi e della strada i piccoli passi che abbiamo ottenuto nel dialogo col mondo musulmano”.
In un’intervista a Gianni Cardinale per “Avvenire”, il cardinale Tauran ha fatto sapere di aver letto, per prepararsi al summit, un libro dello storico Jean-Paul Roux dal titolo non certo tranquillizzante: “Un choc de religions: la longue guerre de l’islam et la chrétienté, 622-2007″.

Quanto al nunzio in Iraq e Giordania, ha chiesto che nei paesi musulmani la libertà di religione sia piena, che la fede non sia imposta a nessuno e che il detto del Corano “non c’è costrizione nella religione” sia applicato riconoscendo a tutti i figli di Adamo la stessa dignità, come credenti, come esseri umani, come cittadini, nelle scuole, nei posti di lavoro, nel sistema giudiziario, nell’osservanza delle leggi, per gli uomini come per le donne.
Con in prima fila esponenti della monarchia hascemita, l’arcivescovo Lingua non ha temuto di chiamare in causa proprio la Giordania:
“La costituzione giordana grazie a Dio è un esempio da imitare, ma deve essere fatto di più perché venga applicata, particolarmente nel campo dell’educazione, al fine di creare un clima di tolleranza, dal momento che spesso, a dispetto delle leggi esistenti, la pratica si allontana dell’ideale codificato. I cristiani aspettano dai loro governi il rispetto delle leggi e la completa separazione dei poteri. Altrimenti non sarà mai fatta giustizia piena, in particolare per i membri più deboli della società”.
E ha concluso il suo discorso applicando ai paesi musulmani il celebre “sogno” del discorso di Martin Luther King di cinquant’anni fa:
“I cristiani arabi, oggi, nel 2013, condividono lo stesso sogno e vogliono essere aiutati a farlo diventare realtà. Vogliono stringere la mano con i loro fratelli islamici e guardare nei loro occhi. Sognano che il loro figli dicano ai nipoti quanto fortunati sono di nascere nel paesi di Abramo, di vivere sulle montagne di Elia, di camminare sulle strade percorse da Mosè, di abitare nella terra di Gesù e di lasciarla ai loro discendenti migliore di come l’hanno trovata”.