"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

12 novembre 2012

Iraq, appello di mons. Sako: cristiani in fuga da un Paese abbandonato a se stesso

By Radio Vaticana
by Roberta Gisotti
  
Peggiora la situazione dei cristiani in Iraq. La denuncia arriva da mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk e segretario generale della Conferenza episcopale irachena. In un’intervista all’agenzia sciita “Alsumaria News”, il presule si dice addolorato di fronte alla continua migrazione di fedeli dal Paese, che minaccia la stessa presenza cristiana in Irak. Roberta Gisotti ne ha parlato con sacerdote iracheno, don Georges Jahola:
Bombe e attentati, rapimenti di bambini da parte di bande armate per autofinanziarsi e, proprio in questi giorni, dieci nuove esecuzioni capitali, 119 dall’inizio dell’anno. Non sembra essere l’Iraq un Paese avviato alla normalità.
Don Georges, quanti cristiani sono rimasti nel Paese e come vivono?
Le statistiche oggi non sono così certe, però di sicuro i cristiani sono diminuiti di un terzo da prima della guerra, dieci anni fa. Possiamo dire che circa 300-350 mila vivono precariamente a causa della situazione generale nel Paese, ma anche perché c’è qualche azione terroristica che prende di mira alcune comunità cristiane. Tutto il Paese soffre comunque della mancanza di sicurezza: oggi non più come prima, perché gli atti terroristici sono per lo più il risultato di una lotta tra componenti politiche. A causa di queste situazioni, i fedeli emigrano per mancanza di lavoro e mancanza anche di servizi di base, come elettricità e carburanti, che forse per gli occidentali sono cose ovvie, ma da noi sono veramente essenziali e non si trovano facilmente.
Mons. Sako chiede al governo in questo contesto di “assumersi la responsabilità di fornire a tutti i gruppi” che vivono in Iraq “la sicurezza, la stabilità e la dignità”. Chi potrà raccogliere questo appello, forse il primo ministro Maliki o il presidente Talibani o nessuno in questo momento?
Sicuramente, il primo dovrebbe essere il governo centrale che è rappresentato da Maliki. Ma anche il governo regionale del Kurdistan, e ognuno nel suo territorio, può assicurare ai cristiani di vivere in pace, in tranquillità e con dignità. Ma se vogliamo tutti quanti possono collaborare, ciascuno da parte sua, con decreti e raccomandazioni, anche nelle regioni, nelle città, per assicurare una vita dignitosa ai cristiani.
Non si può certo lasciare che i cristiani scompaiano da queste terre?
E’ doloroso pensarlo e vederlo accadere sotto i nostri occhi: i nostri fedeli scappano dall’Iraq per cercare una vita pacifica ed anche una vita di cultura, che oggi manca in Iraq e infatti l’educazione scolastica è ridotta da molti anni.
Quindi, anche la tristezza e il dolore di vedere il loro Paese che non si riprende…
Questo è vero perché è un Paese che dopo dieci anni di guerra è stato abbandonato dall’Occidente, dagli alleati, dagli Stati Uniti. E’ un Paese abbandonato alla propria ignoranza e questo fa pena a noi, in quanto Chiesa che guida questo popolo e questa gente e che dà anche testimonianza alla popolazione intera.