"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

10 maggio 2012

Cristiani in Iraq, ipotesi di futuro

By Famiglia Cristiana,  9 maggio 2012
Annachiara Valle

Alla fine del 2011, al momento del ritiro delle truppe Usa, molti pensavano che l'Iraq sarebbe stato travolto da un'ondata di attentati e violenze. Il sangue è corso, in effetti, ma non molto più di prima. A esplodere, invece, è stata la situazione politica. A poche ore dalla partenza degli americani, infatti, il premier Nuri al Maliki, sciita, prima ha fatto arrestare il vice presidente Tareq al Hashemi, sunnita, accusandolo di terrorismo, e poi ha chiesto al Parlamento un voto per costringere alle dimissioni Saleh al Mutlak, il vice premier, un altro sunnita
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La frattura non si è mai ricomposta. Al Hashemi, accusato di aver partecipato all'organizzazione di almeno 150 attentati, non si è presentato al processo cominciato il 3 maggio, si è rifugiato in Turchia e da ieri, su richiesta del Governo iracheno, è ufficialmente ricercato dall'Interpol. Inutile sottolineare che dal dicembre 2011 le autobomba si sono succedute, in un Paese che peraltro non ha mai visto una reale cessazione degli attentati a sfondo etnico e settario
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La "crisi giudiziaria", però, non è che l'ultima, forse più grave evoluzione di un gran pasticcio politico partito l'indomani delle elezioni del marzo 2010, quelle che decretarono la vittoria a sorpresa di Iyad Allawi. Nessun partito era in grado, però, di formare un Governo e per quasi 9 mesi l'Iraq restò immerso nel limbo di un governo provvisorio. Poi, dopo una complessa mediazione del presidente siriano Assad tra Usa ed Iran, fu dato il via a un secondo Governo di Nuri al Maliki
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Questi dovette, naturalmente, pagare un prezzo alle altre formazioni e agli altri leader. Prezzo che fu formalizzato nei cosiddetti Accordi di Erbil, dal nome della città del Kurdistan dove fu siglato: una spartizione delle influenze e dei poteri così particolareggiata e complessa da non potere in alcun modo funzionare. E infatti ancora oggi, a più di due anni dall'accordo, Al Maliki e i suoi accusano gli altri di ricatto, mentre tutti gli altri accusano lui e i suoi di tradimento
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Ancora pochi giorni fa, il 28 aprile, i leader insoddisfatti si sono ritrovati nella stessa Erbil per rinnovare ad Al Maliki l'invito a rispettare i patti. C'erano il curdo Jalal Talabani, che è pur sempre il presidente dell'Iraq, il capo dell'ala sciita radicale Moqtada al Sadr, il presidente della regione autonoma del Kurdistan Massud Barzani, il leader del partito Iraqia, sostenuto dai sunniti, Iyad Allawi e lo speaker del Parlamento, il sunnita Osama al Nujaifi. Ma la risposta di Al Maliki è arrivata con il mandato internazionale d'arresto per al Hashemi.
Al Maliki si fa forte dell'appoggio degli Usa che, con l'Iran alle porte e il Medio Oriente in piena crisi, non sono certo disposti a smantellare quel poco ch'è stato finora costruito in Iraq. I sunniti iracheni, che sono minoranza, possono fare poco per rivendicare i propri diritti, veri o presunti.
Il vero rischio, per il Governo di Baghdad, potrebbe arrivare dopo l'estate, quando il Kurdistan, già largamente autonomo, potrebbe decidere di scegliere l'indipendenza con il referendum già convocato. In questi mesi potrebbe succedere di tutto, dalla caduta del regime di Assad in Siria (detestato dai curdi ma non dal Governo di Baghdad) a un attacco israeliano contro le installazioni nucleari dell'Iran. Se il referendum si terrà regolarmente, toccherà agli Usa, da sempre protettori del Kurdistan, disinnescare anche questa mina.

"Le cose migliorano ma la sicurezza resta un grande problema."

Mons. Warduni
, vescovo ausiliario di Baghdad, spiega la situazione dei cristiani.

Non enfatizza la situazione di particolare difficoltà dei cristiani. “I cristiani in Iraq sono prima di tutto iracheni e come tutta la popolazione patiscono la situazione che c’è. Se scoppia una bomba non chiede prima a quale fede si appartenga. La violenza raggiunge tutti”, spiega monsignor Shlemon Warduni,  vescovo ausiliare di Baghdad, a Roma per incontrare la Caritas italiana prima di partire per raggiungere le altre Caritas europee.

“La nostra situazione attuale è migliorata”,
sottolinea il vescovo, “però non c’è sicurezza e stabilità. Questa è la nostra preoccupazione. Speriamo che ci sia la possibilità di andare avanti e di porre fine agli atti  terroristici”. Violenza e povertà sono all’ordine del giorno. “Per questo la nostra delegazione è venuta in Europa”, aggiunge monsignor Warduni,“per chiedere a tutti gli uomini di buona volontà un sostegno. Non abbiamo vergogna di chiedere. Abbiamo molti progetti per gli handicappati, per i ragazzi rimasti orfani, per le vedove, per gli studenti. In particolare con i giovani cristiani e musulmani abbiamo un progetto di animazione per educare al dialogo, alla pace  e alla fratellanza e per spingere i ragazzi a impegnarsi per la ricostruzione del Paese”.

Un Paese che ha bisogno del sostegno della comunità internazionale “a patto che sia un intervento che semini pace e che dia la possibilità che a ciascun uomo siano riconosciuti i diritti umani. Se la comunità internazionale interviene davvero per questo scopo e non con altri interessi allora può fare il bene e dare stabilità e pace. Occorre però che anche all’interno dell’Iraq non ci siano interessi e divisioni”.

Sorride, ma non tace le critiche il vescovo ausiliare di Baghdad: “Senza le discordie”, sottolinea, “il Paese potrebbe andare avanti anche da solo, ma temo che ci siano interessi a seminare divisioni. In troppi hanno interessi economici e politici perché l’Iraq resti in una situazione instabile. Questo facilita chi vuole fare i propri interessi e non quelli del nostro Paese.  Se l’Iraq si lasciasse da solo, se i dirigenti agissero per il bene di tutti gli iracheni, sicuramente il Paese andrebbe avanti e si svilupperebbe di più e si potrebbe costruire un Iraq nuovo”.
 

Un contributo di cento mila euro per sostenere i progetti della Caritas irachena. La Caritas italiana si è impegnata su sei iniziative concrete che hanno visto mettere in piedi attività di sostegno ai bambini e alle famiglie, corsi di formazione dei giovani alla solidarietà e alla cittadinanza attiva, un programma di sostegno alle vittime della violenza e a persone in difficoltà, aiuti alle famiglie sfollate di Baghdad e del Nord del Paese, un progetto di pace e riconciliazione e uno di integrazione delle persone disabili.
In particolare, il sostegno ai bambini e alle famiglie si è concretizzato nell’avvio di 12 centri su tutto il territorio nazionale. Le strutture stanno seguendo i bambini malnutriti, le donne incinte, le mamme che allattano e le famiglie particolarmente povere. Oltre alla distribuzione di alimenti ad alto valore proteico, le attività si sono allargate anche in ambito agricolo e alimentare con 34 progetti di allevamento di pollame, di panifici, di confezionamento di prodotti alimentari fatti in casa. Per contribuire ai progetti si può effettuare un versamento attraverso il sito della Caritas www.caritasitaliana.it. Dalla home page si deve cliccare su “nel mondo” e poi sul Paese Iraq.